Predator: prima caccia all'umano per gli Yautja

predator: prima caccia all'umano per gli yautja

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Da vertice della catena alimentari, a preda del più letale predatore della galassia. Si potrebbe riassumente brevemente con queste parole il rapporto tra noi umani e gli Yautja, i letali cacciatori di teste alieni meglio noti come Predator, uno dei volti più iconici della fantascienza cinematografica anni ’80.

Ma non solo, considerato come la loro proverbiale prodezza nell’arte venatoria li ha spinti a estendere il loro terreno di caccia anche in altri media, come fumetti, romanzi e videogiochi. La saga di Predator è uno dei simboli di quel florido periodo di cult che sono stati gli anni ’80, in cui Hollywood sfornava all’impazzata eroi e villain carismatici. Nel caso dei letali predatori alieni il loro mito, pur attraversando momenti non sempre esaltanti, è riuscito ad arrivare ai giorni nostri, nella speranza di mantenere alto il nome degli Yautja.

Il franchise di Predator non è rimasto un contesto narrativo indipendente, ma si è ritrovato a condividere le sorti con l’altro celebre mostro alieni del periodo, lo xenomorfo di Alien. Due creature così diverse eppure accumunate da una ferina intelligenza che, pur basandosi su differenti approcci e motivazioni, ha mostrato di aver diversi tratti in comune. Ma prima di contendersi il ruolo di cacciatore galattico per eccellenza con gli xenomorfi, gli Yautja hanno avuto modo di crearsi una propria mitologia e, soprattutto, una propria cronologia.

Predator, l'alieno che cambiò gli action movie

Torniamo per un attimo agli anni ’80, periodo divenuto ora leggendario, che ha regalato all’immaginario fantascientifico alcune delle figure chiave di una visione della sci-fi che ancora oggi impera nel mondo dell’entertainment.

La presenza di un nuovo modo di fare cinema, avviatosi nel comparto fantascientifico con Star Wars, aveva riacceso l’interesse per la sci-fi, consentendo di esplorare nuovi aspetti del genere precedentemente mai considerati sul grande schermo. Da questa libertà presero vita i due cult di Scott, Alien e Blade Runner, ma soprattutto la voglia di non rimanere schiavi di una visione fantascientifica monolitica, creando delle commistioni di genere che arricchissero questo particolare concept.

Allo stesso tempo, al cinema gli spettatori stavano iniziando a familiarizzare con gli action hero, personaggi muscolari e capaci di affrontare avventure dinamiche e iperviolente in cui un mix tra testosterone e umorismo stavano contribuendo a creare un nuovo linguaggio cinematografico. E a comandare questa marcia trionfale erano due volti: Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger. Ad inizio del decennio, era l’interprete di Rocky e Rambo a essere il punto di riferimento per questo genere, grazie soprattutto all’ottima performance offerta nei primi film del ciclo di Rocky. Anzi, si potrebbe dire che non esisterebbe Predator senza il pugile di Philadelphia.

All’uscita di Rocky IV, si iniziò ad ironizzare su quanti altri film si sarebbero potuto realizzare sul pugile interpretato da Sylvester Stallone. In particolare, l’ironia si concentrava sull’avversario di Rocky, considerato che aveva già affrontati personaggi di un certo spessore, come Apollo, Clubber Lang e Ivan Drago. Insomma, la sensazione era che sulla Terra nessuno potesse affrontare Rocky, l’unico avversario che veramente avrebbe messo in difficoltà Rocky poteva essere un alieno.

Idea suggestiva che fornì a due sceneggiatori, Jim e John Thomas, un’intuizione incredibile: una squadra eterogenea di cacciatori alieni coinvolti in una battuta di caccia sulla Terra. Ai Thomas stuzzicava l’idea di ribaltare il concetto di preda, dando vita ad una storia in cui l’umano, solitamente il cacciatore, divenisse invece la preda.

Non a caso, il titolo di lavorazione usato in questa sceneggiatura era Hunter, Cacciatore. A rappresentare gli sfortunati umani, avrebbe dovuto essere un soldato dall’addestramento incredibile, che avrebbe dato del filo da torcere ai bracconieri stellari, motivo per cui si decise di ambientare l’azione nella foresta pluviale del Centro America, considerato che all’epoca era teatro di diverse black ops americane.

La sceneggiatura dei Thomas venne presentata nel 1985 alla 20th Century Fox, che la sottopose al produttore Joel Silver. Apprezzato per il suo lavoro sull’action movie Commando, Silver decise di trasformare il progetto di un film di fantascienza di serie B in una pellicola ad alto budget. Il suo approccio convinse la 20th Century Fox, che lo mise a capo del progetto, e la prima mossa di Silver fu di coinvolgere nella lavorazione come regista John McTiernan e Lawrence Gordon come co-produttore.

Il primo nome che venne preso in considerazione per il cast fu quello di Arnold Schwarzenegger. Il muscolo attore aveva già lavorato con Silver in Commando ed era diventato un diretto concorrente di Sly grazie alla sua interpretazione di Conan. Nello sviluppare Predator, Schwarzy venne scelto come interprete di Alan ‘Dutch’ Schaffer, il protagonista della storia. Inizialmente, Dutch avrebbe dovuto essere l’unico umano nel film, capace di tenere testa al letale cacciatore alieno in una lotta sfrenata.

Prede decisamente impegnative

L’idea non convinse pienamente Schwarzenegger, che manifestò i suoi dubbi agli sceneggiatori. Una perplessità che si rivelò la chiave del successo della pellicola, visto che seguendo l’intuizione dell’attore, McTiernan e la sua squadra modificarono il concept originale, introducendo l’elemento del team militare americano, giocando su uno dei temi cari al cinema action del periodo, le black ops in stati canaglia o piccoli stati del Centro America, che venne intrecciato all’elemento fantascientifico. Scelta che portò alla necessità di comporre ungruppo di soldati duri e pronti a tutto, occasione perfetta per comporre un team di muscoli che è divenuto una leggenda degli action movie della storia.

Direttamente dalla saga di Rocky venne preso Carl Weathers, che interpreta una vecchia conoscenza di Dutch ed è il punto di contatto con la parte ‘spionistica’ della pellicola. Dal mondo del wrestling arrivò Jesse Ventura, che interpretò Blain. Ventura non era solo dotato del fisico massiccio richiesto, ma aveva anche un passato militare, dato che aveva servito come Navy S.E.A.L. e si era fatto anche la sua bella parte di Guerra del Vietnam (1966-1795). Curiosamente, oltre a Predator, Ventura si ritrovò a lavorare con Schwarzenegger anche per un altro film in quello stesso anno, L’implacabile, altra pellicola fantascientifica ispirata ad un romanzo di Stephen King, L’uomo in fuga (The Running Man).

Non solo attori muscolosi, ma anche degli improvvisati interpreti che vennero coinvolti quasi per punizione, come Shane Black. Black non era nemmeno un attore, bensì uno sceneggiatore. La sua presenza nel cast fu una sorta di necessità, voluta da Joel Silver per una ragione ben precisa: costringerlo a lavorare! Black, infatti, alle prese con la stesura di una sceneggiatura per Silver, basata su una coppia di poliziotti, un bianco e uno di colore, alle prese con una brutta storia di droga, che poi divenne il film Arma Letale. Il set di Predator fece talmente bene al lavoro di Black che lo sceneggiatore nel frattempo scrisse anche una seconda sceneggiatura, L’ultimo boyscout.

La presenza di una serie di personalità forti, come ricordato spesso dagli attori che presero parte al film, trasformò la lavorazione di Predator in una sorta di rivalità tra i diversi interpreti, impegnati in una gara di machismo tra chi aveva il bicipite più gonfio o chi si allenava più duramente. Nonostante vicende legate a una delle lavorazioni più estreme per un film del periodo, tra inconvenienti della location e licenze matrimoniali, Predator divenne comunque un cult del periodo, forte della vena satirica del film di McTiernan. La presenza di un cast volutamente iper-muscolare, con la presenza di battute divenute storiche, è un modo di ironizzare sull’impostazione tipica degli action movies del periodo.

Centrale nelle dinamiche del film è anche la caratterizzazione storica del periodo. Come in altri film del periodo, anche Predator si affida alla contemporaneità degli anni ’80, utilizzando il dettaglio delle piccole battaglie combattute nei paesi latino-americani da operativi americani, in quelle che erano note come black ops, interventi armati volutamente segreti. McTiernan ne fa un uso intelligente, trasformandole nel casus belli del suo film, a cui unisce una sottile critica all’uso delle armi, incarnata dalla celebre scena in cui i soldati sparano nella boscaglia alla cieca sperando di colpire l’invisibile nemico.

Momento che ribadisce l’inutilità di un approccio violento a situazioni che non si comprendono, come dimostra il resto della pellicola, in cui alla fine il tutto si riduce ad uno scontro fisico e istintivo. In Predator, soprattutto, è avvincente il ribaltamento della prospettiva del rapporto umano-alieno. Dutch e la sua squadra ricordano l’equipaggio della Nostromo di Alien, sono la preda di un’entità senza nome e apparentemente inarrestabile. Contrariamente al film di Scott, però, in Predator non si assiste alla disperazione di un gruppo umano che tenta di sopravvivere, ma alla volontà di una squadra di uomini armati e convinti di una superiorità sicura garantita dall’arma più grossa. Sotto l’impianto di un action movie, quindi, ci sono risvolti più profondi che rendono Predator qualcosa di più profondo, una visione ibrida della narrazione cinematografica che si evolverà ulteriormente nel suo secondo capitolo

La nascita dello Yautja

A rendere leggendario Predator, ovviamente, fu la presenza di un alieno lontano dai precedenti canoni cinematografici. Nell’epoca aurea della sci-fi cinematografica tra gli anni ’50 e ’60, l’extraterrestre era spesso una metafora del nemico comunista, era l’incarnazione del nemico subdolo e meschino, una visione parzialmente rivista in Star Trek e Star Wars, ma che ha visto in Alien una connotazione rivoluzionaria.

Lo xenomorfo è un caso di alieno ferino, non cattivo, ma animato da una mente animale che si adatta a seguire un dictat biologico: riprodursi. Per quanto lontano dal concept della creatura di Scott, gli Yautja sono stati, seppure in modo seminale, creati come una cultura di cacciatori, di cui, nel primo film, sappiamo relativamente poco, se non che mostrano una dotazione di armi incredibili e sono animati da una mentalità predatoria eccezionale.

Se concettualmente il cacciatore alieno era stato sommariamente idealizzato, diverso fu il percorso che portò alla nascita ‘fisica’ del Predator. Creare un alieno credibile non è mai facile, e la squadra di McTiernan si scontrò con numerose difficoltà. Il primo look dell’alieno era totalmente diverso da quello visto alla fine, e aveva una fisicità completamente differente, che lo rendeva più smilzo e agile rispetto al letale cacciatore alieno che conosciamo oggi. Nella prima versione, l’alieno avrebbe dovuto essere agilissimo e muoversi continuamente tra il fitto fogliame. A realizzarlo fu Richard Edlung, che creò un essere sproporzionato, con grossi occhi gialli incassati in una testa dalla forma canina, ma incapace di avere la necessaria agilità richiesta dalla figura del cacciatore alieno.

Si era anche realizzata un’apposita tuta rossa che avrebbe indossato l’interprete dell’alieno, la cui colorazione avrebbe consentito di lavorare in post-produzione sulla rimozione dell’alieno dalle scene per dare vita al celebre occultamento dei Predator.

Era quindi necessario trovare un attore che riuscisse a indossare questa tuta e al contempo fornire una prestazione fisica all’altezza, un requisito che venne soddisfatto da una futura star degli action movie: Jean-Claude Van Damme. Una volta infilato Van Damme nella tuta dell’alieno, la prima sensazione non fu positiva. Contrariamente agli umani, massicci e visivamente forzuti, il risultato era quello di una creatura minuta e poco pericolosa, iniziando a far pensare che anche per l’alieno servisse un attore dotato di una certa fisicità.

A questo, si aggiunsero anche le lamentele di Van Damme, che segnalava come la tuta fosse soffocante, al punto di ridurlo quasi allo svenimento in diverse occasioni, al punto che dopo due soli giorni di riprese l’attore belga abbandonò il set, quando scoprì che oltre a dover faticare in modo assurdo il suo nome non sarebbe nemmeno apparso nei titoli di coda.

L’abbandono di Van Damme spinse McTiernan a rivedere il concept dell’alieno. Dopo aver visionato una proposta di Rick Baker, su consiglio di Schwarzenegger ci si rivolse ad un maestro del settore, Stan Winston, con cui l’attore aveva lavorato pochi anni prima per Terminator. Questo cambio consentì anche di realizzare un alieno il cui fisico potesse competere con quello dei forzuti umani, cosa su cui Winston lavorò da subito.

I primi bozzetti del nuovo alieno furono creati da Winston durante un volo verso gli studi Fox in compagnia del regista di Aliens, James Cameron, che suggerì di introdurre l’elemento delle mandibole da insetto. Il nuovo alieno era quindi più massiccio, novità che chiese un attore adeguato sotto la maschera. Ruolo che venne interpretato da Kevin Peter Hall, che superava i due metri di altezza.

Dalla pellicola al fumetto

Il successo di Predator fu tale che, come molti altri cult del periodo, il suo futuro passò prima ancora che in un seguito cinematografico, dal mondo del fumetto. Era quasi una consuetudine, in quegli anni, che la Dark Horse Comics sviluppasse seguiti di grandi film dando vita a fumetti che ne proseguissero le trame o approfondissero aspetti che arricchivano questi universi narrativi, una prassi che aveva arricchito i miti di Alien, Star Wars o Robocop. Predator non fece eccezione, tanto che fu proprio l’artefice del primo arco narrativo della declinazione fumettistica degli xenomorfi, Mark Verheiden, a realizzare un primo capitolo di Predator a fumetti.

L’idea fu quella di portare lo scenario nella dimensione urbana di New York, dove il fratello di Dutch, ancora alla ricerca del fratello misteriosamente sparito, si sarebbe trovato a dover gestire una situazione decisamente insolita: una guerra tra bande, con un Predator come ospite a sorpresa. Trama che univa la visione cinica della violenza urbana tipica del periodo, specie per la Grande Mela, che diveniva metafora di una letale giungla di metallo e cemento.

La visione di Verheiden fu un successo che consentì al personaggio di consolidare la sua presenza come figura di spicco dell’immaginario fantascientifico del periodo, venendo associato, idealmente, come pari dello xenomorfo di Alien. Aspetto che sarebbe divenuto centrale dopo il ritorno degli Yautja sul grande schermo, che con Predator 2 sarebbero stati, seppur con un cenno minimo, legati maggiormente ai mostri spaziali di Alien.

Predator: la difficile costruzione di un mito cinematografico

Sembra incredibile, ripensando al successo del primo Predator, ma la vita cinematografica degli Yautja è stata particolarmente complessa e poco apprezzata. Dagli scontri con l’eterno rivale xenomorfo (Alien vs. Predator) alle due successive pellicole solista (Predators e The Predator), la costruzione di una mitologia degli Yautja è sempre stata piagata da una scrittura che sembrava vedere nei tratti essenziali di questa cultura aliena una semplice scusa per dare vita a un action movie, privo di una caratterizzazione più definita di questo essere letale essere. Mentre la saga di Alien esplorava ulteriormente un universo sempre più coeso, come in Aliens – Scontro Finale e Alien 3, per i Predator ci si è accontentati di lasciare pochi dettagli che dessero una misura della cultura o delle meccaniche di questa società aliena.

Una carenza compensata altrove, come nei comics, dove si è assistito alla creazione di una cronologia di eventi che hanno unito Yautja e umani, creando un confronto tra le due specie che ha affondato le proprie radici nei secoli precedenti al primo incontro visto nel 1986, e che si è spinto ad immaginare che dietro il mito di Jack lo Squartatore si nascondesse nientemeno che uno degli infaticabili cacciatori alieni. Questa presenza degli Yautja nella storia umana si è sviluppata a lungo nei comics, venendo infine sfruttata anche nel comparto cinematografico con Prey, in cui uno dei cacciatori di teste alieni sceglie come proprio territorio di caccia i Grandi Piani americani di metà ‘800, tra coloni e indiani.

  In collaborazione con CulturaPop

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