James Franco, il potere delle intenzioni

Chiamato da Claudio Giovannesi in Italia per Hey Joe, James Franco è l’uomo senza riposo. La sua politica è «one for them, one for me», un film commerciale, uno indie, «uno per loro, uno per me». Nell’intervista su Esquire Italia di giugno, gli altri suoi progetti. Compreso uno molto speciale, Paly Hollywood.

Primo pomeriggio milanese, fuori c’è un sole pallido. Sulle scale che portano alla porta girevole tutta dorata dell’hotel, s’è radunata una piccola folla di giovani e giovanissimi, in attesa che si materializzi il loro grado di separazione dal magico mondo dei cinefumetti. Il grado di separazione si chiama James Franco, ovvero Harry Osborn alias Goblin II, l’amico (e poi nemico) elegantone di Spider-Man. Io sto guardando la scena da dietro un vetro, nella stanza in cui aspetto che arrivi Franco per l’intervista.

I fan, non potendo arrampicarsi come l’Uomo Ragno, appunto, stanno fuori, moderatamente agitati per tutto il tempo del nostro incontro e restano attaccati, almeno la maggioranza, a quell’unica riconoscibile dimensione di Franco. In realtà, c’è molto altro da sapere su questo attore-regista-scrittore e, come se non bastasse, adesso anche imprenditore di una linea di moda street a nome Paly Hollywood, con capi ispirati a defunti celebri del mondo dello spettacolo: da Elvis Presley a James Dean e simili. All’arrivo, James Franco si siede davanti a me e si leva dalla testa un cappellino della linea: c’è il ritratto di Natalie Wood, attrice tragicamente e misteriosamente scomparsa in mare nel 1981. Il cappellino dice: “Santa Natalie Wood”.

james franco, il potere delle intenzioni

James Franco intervista 2024

Ha girato, di recente, un film in Italia, per la regia di Claudio Giovannesi (Fiore, La paranza dei bambini). Il film si intitola Hey Joe, è ambientato negli anni Settanta. James Franco interpreta un soldato americano che aveva lasciato a Napoli, nel dopoguerra, una ragazza napoletana incinta. Torna dopo un quarto di secolo a conoscere il figlio che non ha mai visto.

L’attore oggi ha 46 anni e una carriera di alti e bassi che ha visto tutto e il contrario di tutto: la fama da sex-symbol, qualche accusa di molestia finita nel nulla, premi (due Golden Globe) e nomination varie, di cui la più importante è quella come miglior attore per il film 127 ore, in cui interpreta un alpinista improvvido rimasto incastrato cinque giorni in mezzo a un canyon. Un film (la regia è di Danny Boyle) che fa pensare al cinema (e alla vita) come sport estremi. E che forse somiglia a come vede le cose James Franco: curioso, irrequieto, un po’ impavido.

james franco, il potere delle intenzioni

James Franco intervista 2024

Le capita spesso, come qui fuori, che le chiedano di Spider-Man?

Sì, sono passati più di vent’anni, eppure è così, ovunque io vada, in tutto il mondo. La cosa buffa è che se guardo indietro, ho sempre in mente un giorno sul set del primo film: io e lo stuntman di Tobey Maguire che stavamo provando una scena e mi sembrava che stessimo girando a vuoto. Mi pareva di essere più in un parco di divertimenti che su un set. Pensavo: questa roba di effetti speciali non funzionerà mai. Poi, il cinema si è praticamente trasformato in un gigantesco generatore di supereroi, il Marvel Universe ha dominato il gusto e il box office di questi ultimi anni. Ma io che ne potevo sapere (ride, ndr).

Di solito, è più bravo nell’azzeccare le previsioni?

Non proprio. Quando giravo uno dei miei primi telefilm, Freaks and Geeks, ero convinto che sarebbe stato un grande successo. È stato cancellato dalla rete per i bassi ascolti! Però io resto convinto che fosse buono, anzi. So che adesso è diventato un piccolo cult.

Quando ha capito di avercela fatta, invece?

Quando mi hanno preso per il tivù-movie su James Dean. Il mio agente non voleva che lo facessi, era un tv-movie, allora la televisione era vista veramente malissimo da quelli del cinema. Mi disse che era un rischio interpretare un personaggio iconico come Dean e che sarei rimasto incastrato per sempre in quell’immagine. L’ho fatto lo stesso, è andata benissimo. La sera in cui ho vinto il Golden Globe, ho pensato: bene, adesso non devo fare altri sforzi particolari perché andrà tutto alla grande.

Invece?

Invece, no. Quella banalità che si dice sempre sul fatto che l’importante non è raggiungere la meta ma fare il viaggio è vera. Solo che lo capisci sempre a tue spese. Dopo James Dean ero abbastanza infelice, i film che ho girato non funzionavano, stavo per compiere trent’anni e sono caduto in depressione. Mi paragonavo di continuo agli altri, se i film non incassavano o non ricevevano buone recensioni, voleva dire che io non valevo niente. Così, per distrarmi da questi problemi di autostima, mi sono rimesso a studiare. Ho finito l’università che avevo mollato anni prima, poi sono andato a scuola di cinema e arte. Mi sono rafforzato e ho cominciato a scrivere e dirigere i miei film.

james franco, il potere delle intenzioni

James Franco intervista 2024

Pensava di lasciare la recitazione?

No, però, grazie al fatto che mi sono messo a fare altre cose, ho cominciato a vedere il mio lavoro come attore con un certo distacco e credo, da quel momento in poi, di essere migliorato. Poi, a 37 anni, ho sbattuto di nuovo la testa contro un muro.

Di che colore era quel muro?

Nero, molto nero. Per un anno ho smesso di lavorare. Non vedevo nessuno, non uscivo con nessuno. È iniziata una crisi che non sapevo dove mi avrebbe portato.

Chi o che cosa ha rotto il muro?

L’incontro con Isabel, che adesso è la mia compagna, è stato fondamentale. Ma mi ha rimesso in piedi anche l’abitudine a scrivere e dipingere. Infine, l’idea di un amico di lanciare la Paly Hollywood, usando molti dei miei disegni per le magliette e gli altri prodotti che realizziamo. Credo che fare queste cose che mi coinvolgevano ma senza apparire in prima fila mi abbia salvato. Quando diventi un personaggio famoso, arriva un momento in cui l’attenzione del pubblico è come una droga. La vuoi, l’hai cercata, ma poi ti fa impazzire.

Qui fuori la riconoscono per via di Spider-Man. A me però sembra che lei abbia sempre avuto delle ambizioni al di fuori di questo tipo di fama così popolare.

Per molto tempo, ho seguito il principio del “One for them, one for me”, uno per loro, uno per me, ovvero facevo un film più mainstream e intanto mettevo insieme i finanziamenti per progetti di nicchia e personali. Adattamenti da scrittori come William Faulkner o Cormac McCarthy. Tutte cose che magari sono riuscito a portare a festival prestigiosi come Cannes e Venezia, ma che poi hanno visto in pochi. Comunque, per un bel po’, il compromesso tra questi due mondi è andato avanti, funzionava. Però, io sono un addictive personality, tendo a sviluppare dipendenze un po’ in tutto, quando mi fisso con qualcosa ne divento succube. Quindi, come mio solito, ho esagerato. C’erano in giro troppi James Franco Projects che non facevano un soldo. Così un giorno la mia agente mi ha detto: non possiamo più trovare soldi per tutti questi progetti indipendenti, datti una calmata. Però dopo quel momento di crisi, è venuto fuori The Disaster Artist, un film di cui sono molto orgoglioso e che è anche andato bene.

È la storia del regista di The Room, del 2003, passato alla storia come il peggior film mai fatto. Perché ha voluto raccontarla?

Perché è universale. Tutti, indipendentemente dalle nostre fortune e dai nostri eventuali talenti, vogliamo combinare qualcosa di significativo e vogliamo che la gente ci apprezzi, anzi che ci voglia bene.

Lei è scrittore, regista e attore. Quale di queste attività la fa stare meglio?

Scrivo ogni mattina, ogni giorno, è la cosa che faccio di più. Non posso iniziare la giornata senza scrivere, ne ho un bisogno sfrenato. Del resto scrivere è stata la mia prima passione, immaginavo un futuro da scrittore, ben prima di pensare al cinema. Crescendo a Palo Alto, andavo al cinema ma non avevo idea di come si facessero i film, non pensavo che sarei entrato in quel mondo. Oggi, quando ho l’opportunità di dirigere un film o una serie, come è stato per The Deuce, lo vivo come un aspetto molto gioioso della mia vita: mi piace la collaborazione con gli altri, stare in mezzo alle persone, condividere. La recitazione, negli anni, è diventata un abito confortevole, in cui mi sento sempre a mio agio.

Come attore, ha interpretato anche Fidel Castro, in un film che deve ancora uscire.

Sì, lo abbiamo girato l’anno scorso, è più che altro la storia di sua figlia, Alina Castro. Infatti si intitola Alina of Cuba, è diretto da un bravissimo regista spagnolo, Miguel Bardem, cugino di Javier. Quando mi hanno proposto il film, sono rimasto un po’ perplesso. Che c’entro io con Fidel Castro? Poi, hanno insistito che andassi a Miami a conoscere Alina. L’idea che interpretassi il padre era sua. Mi ha fatto vedere delle foto del padre da giovane e, improvvisamente, mi sono accorto che Fidel Castro somigliava parecchio al mio nonno paterno, Dan Franco, che portava la barba molto lunga. Così, ho accettato.

Se la sua vita fosse un film, quale sarebbe la scena chiave?

Avrebbe certamente a che fare con mio padre, che è mancato ormai dodici anni fa. Deve sapere che i miei genitori si sono conosciuti all’università, studiavano entrambi arte, erano pittori. Ma, a un certo punto, mio padre ebbe un terribile crollo nervoso e smise di dipingere. Lasciò l’arte e andò a studiare economia, infine si trasferì a Palo Alto, dove infatti io sono nato e cresciuto. Insomma: avrebbe voluto essere un artista e finì a lavorare nella Silicon Valley. Riprese a dipingere solo negli ultimi cinque anni della sua vita. Quando io ero teenager ho causato un sacco di guai, non sono stato un adolescente facile e ci siamo scontrati spesso. A un certo punto io volevo fare la scuola d’arte, lui non mi ha sostenuto per niente e alla fine mi sono iscritto all’università, ma poi l’ho mollata per andare a studiare recitazione. Era furioso. Mi disse che stavo facendo un errore. Le sue parole furono durissime e, ancora oggi, mi fa male pensarci. Ricordo che eravamo in aereo, stavamo andando in vacanza da qualche parte insieme. Credo che volesse proteggermi: per lui quelle aspirazioni artistiche erano state più fonte di dolore e frustrazione che altro. Fu una lite pesante, io continuavo a dirgli «ti dimostrerò che hai torto». Anni dopo mio padre ammise di essersi sbagliato, mi disse «eri destinato a fare l’attore, sei un ottimo attore».

Quindi, alla fine, vi siete riconciliati.

Sì, ma in certi momenti, in quei momenti neri che mi sono capitati, nonostante la mia parte razionale sia perfettamente consapevole che, alla fine, lui era contento dei risultati che avevo ottenuto, io ho ancora un padre fantasma che vuole impedirmi di essere un artista. Quindi, per rispondere alla sua domanda, questo è il film che farei sulla mia vita.

In tutto il servizio: abiti e accessori FENDI. Make-up: ROMAN GASSER @W-MMANAGEMENT USING MAC COSMETICS. Hair: MASSIMO GAMBA @BLENDMANAGEMENT using Hair by Sam McKnight. Style assistant: ALBERTO SARDELLA.

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