Giro di vite sui migranti che lavorano: fuori dal sistema dell’accoglienza

giro di vite sui migranti che lavorano: fuori dal sistema dell’accoglienza

Non basta la tragedia di Satnam Singh e il quadro emerso nell’Agro pontino. La situazione di braccianti rifugiati e richiedenti asilo, i tre quarti degli oltre 200 mila schiavi dei campi, è peggiorata da una decisione assunta tempo fa dal Viminale e comunicata ai prefetti di controllare i redditi dei richiedenti ospitati nel Centri di accoglienza straordinaria per espellere in 15 giorni chi guadagna oltre 6 mila euro l’anno. L’urgenza è reperire posti in vista dell’estate, anche se gli arrivi rispetto al 2023, secondo quanto reso noto dal ministro Piantedosi, finora si sono dimezzati.

«Una decisione assurda all'inizio della stagione turistica e in piena attività agricola con i migranti in giro nei campi italiani- denuncia l’arcivescovo di Ferrara Gian Carlo Perego, presidente della fondazione Migrantes -, con questi redditi è difficile trovare un alloggio e poter vivere, con il rischio anche di trovarsi vittime di ricatti. A Ferrara al momento non ci sono alternative se i datori in agricoltura e ai Lidi non provvedono. Rischiano di vivere in ambienti di fortuna».

La motivazione dell'espulsione dai Cas dei richiedenti asilo è per preparare posti per i migranti in arrivo nei mesi estivi che faranno domanda d'asilo. «Ma - obietta l’arcivescovo - anziché aumentare i posti in accoglienza a 30.000 all'anno per tre anni se si fosse destinata all'accoglienza la risorsa di quasi un miliardo spesa per l'esternalizzazione dell'accoglienza in Albania si preferisce lasciare sulla strada o sotto i ponti o nei giardini pubblici e pinete o nei casolari abbandonati migliaia di richiedenti asilo lavoratori. Molti rischieranno di perdere casa e lavoro».

Un quadro da allarme sociale.

«Anche perché - conclude Perego - con il decreto flussi era per 89 mila persone e le richieste sono state per 225 mila. Il mondo dei richiedenti asilo è quello al quale rivolgersi per fare contratti, va valorizzato e accompagnato anche dal punto di vista dell’abitazione e della sicurezza. Invece non si è valutata la possibilità di una conversione del permesso per protezione internazionale in permesso per lavoro, oltre a non concordare con le organizzazioni delle imprese agricole e turistiche la ricerca di un alloggio. Ancora una volta i diritti sono negati da scelte irrazionali».

Anche la situazione in Toscana è complicata dai controlli incrociati chiesti dalle prefetture.

«E’ capitato che fossero esaminati ad alcuni i redditi dell’anno precedente e al momento dell’espulsione i richiedenti asilo fossero disoccupati - spiega Sara Vatteroni, responsabile Migrantes di Massa e della Toscana - e chi ha un contratto non ce l’ha magari per un anno. Senza contare il caporalato in agricoltura, nell’edilizia e nella meccanica navale. E i posti nei Sai non sono occupati».

Castelvolturno, nell’Alto Casertano è il proseguimento in Campania dell’Agro pontino. Terre bonificate e fertili con braccianti subsahariani a raccogliere pomodori e nelle stalle con i 100 mila bufali di 5 comuni pakistani, indiani e bangladeshi. Una manifestazione della rete delle associazioni che lavorano con i migranti un mese fa ha avviato un dialogo con le istituzioni per trovare alternative alla strada.

«La situazione è già molto difficile - spiega il comboniano padre Daniele Moschetti, responsabile dell’associazione Black and White - ed espellere chi lavora dai Cas la peggiorerebbe facendo aumentare il nero. Anche in questo territorio siamo spettatori di cose inaudite. Ufficialmente i migranti registrati sono 5mila su 29 mila abitanti, ma tra chi è in nero o chi chiede asilo arriviamo ad almeno 15 mila in un territorio ungo 27 km. C’è lo schiavismo nelle stalle come in agricoltura con giornate lavorative di 13 ore. E le rotatorie stradali alle 4 del mattino sono i punti di reclutamento da parte dei caporali di disperati che accettano li salario misero in nero decurtato del panino. Questo territorio è stato abbandonato dallo Stato, deturpato dalla camorra e dal terremoto dove lo schiavismo è più crudele».

Anche in Calabria la situazione viene definita «allarmante» dal direttore della Migrantes di Cosenza e regionale Pino Fabiano.

«E’ peggiorata molto, vediamo che i richiedenti che stammo nei Cas non hanno un contratto di lavoro regolare, ma viene retribuito in nero soprattutto in agricoltura. La decisione del Viminale qui non produce effetti, nessuno ha un reddito certificato. il vero problema è la mancanza di controlli».

Paradossalmente l’effetto di mettere alla porta dei Centri di accoglienza straordinaria chi ha un contratto di lavoro è spingere i richiedenti asilo verso il lavoro nero in barba alla legalità.

Varcato lo Stretto, in Sicilia la situazione è identica. «Ma la pressione delle prefetture - spiega il responsabile della Migrantes siciliana Santino Tornesi - è stata forte. Ci sono state le richieste di effettuare verifiche alle società che gestiscono i Cas da parte delle prefetture per l’urgenza di liberare posti, ma a parte alcuni allontanamenti, finora la decisione viene applicata poco». Anche per il numero elevato di lavoratori in nero. Ad esempio nel messinese, nel settore poco indagato del florovivaismo nella zona tra Milazzo e Barcellona Pozzo di Gotto.

«In questa area - conferma il sociologo Tindaro Bellinvia - il settore florovivaistico si regge sul contributo dei migranti. Trovano impiago gli ultimi arrivati. Dopo tunisini e marocchini e albanesi ora ci lavorano molti subsahariani e il nero è molto diffuso. In particolare le lavoratrici sono pagate meno, a volte con salari irrisori, ma non hanno la forza di ribellarsi».

Il progetto Presidio della Caritas segue i braccianti delle serre nella Fascia Trasformata, diocesi di Ragusa dove si produce quasi la metà della produzione ortofrutticola di tutta Italia.A loro si sono rivolti braccianti allontanati dai Cas.

«Il problema è trovare un alloggio - conferma i l responsabile immigrazione Vincenzo Lamonica - è insufficiente il reddito da stagionale e senza un contratto annuale la gente non si fida.» Chi sono? «Tunisini, albanesi e la novità nei campi e nelle s erre sono i bangladeshi, dietro la cui presenza si configurano episodi di tratta». Molti sono gli irregolari da decreto flussi, che hanno pagato per avere falsi contratti e una volta arrivati in Italia devono venire espulsi. Ma difficilmente lo saranno, l’illegalità conviene.

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