Papà Massimo e la luce di Alba Chiara: «Lotto contro i femminicidi»

papà massimo e la luce di alba chiara: «lotto contro i femminicidi»

Papà Massimo e la luce di Alba Chiara: «Lotto contro i femminicidi»

C’è un’altra resistenza, o una resistenza nuova. La portano avanti donne e uomini sconosciuti, tra le mille difficoltà del quotidiano, in un’Italia liberata dalla guerra e dal fascismo ma non dai nemici della convivenza civile e della democrazia: le mafie e l’illegalità, il razzismo e il pregiudizio verso il diverso, l’abbandono e il degrado delle periferie e degli ultimi, la violenza sulle donne e la cancellazione dei diritti. Polemiche e scontri politici offuscanoil significato di una data che è simbolo di lotta e riscatto dal male. Il Paese, alle prese con tanti problemi, esprime ancora queste forze. Avvenire in occasione del 25 aprile ha deciso di raccontare tre storie di “resistenti”: quella di Massimo, che leggete qui sotto, quella di Pino col suo ristorante e la sua cooperativa sociale più forti delle minacce e delle intimidazioni e quella dell’educatrice di origini marocchine Kenza che è l’anima e il cuore di un circolo educativo alla periferia difficile di Torino.

Resistere alla fine del mondo. Dover restare vivi, mentre la vita di prima esplode e scompare. È quello che è toccato a papà Massimo il 31 luglio 2017, quando sua figlia Alba Chiara, 22 anni, è stata ammazzata a colpi di pistola dal suo ex fidanzato Mattia a Tenno, in Trentino. Che poi a sua volta, con la stessa pistola, s’è tolto la vita. La coppia perfetta, il ragazzo più bravo della scuola e del paese lui, la ragazza più bella e intelligente lei. Amici dall’asilo, fidanzati dall’adolescenza, considerati come figli dai genitori l’uno dell’altra. Una storia simile a quella di Giulia Cecchettin, solo che nel 2017 – sembra passato un secolo – all’Italia i femminicidi facevano meno effetto. È servito tempo, perchénell’opinione pubblica montasse l’indignazione per la violenza di genere e la logica patriarcale che ha portato alla mobilitazione e alle proteste dello scorso inverno in tutto il Paese. Ed è servito tempo perché nella minuscola Tenno, che ha la popolazione di un condominio d’una grande d’una città, la fine di Alba Chiara fosse chiamata col nome di femminicidio e non di “disgrazia” o “incidente”. Massimo Baroni ripercorre quei mesi ancora visibilmente commosso: «La storia finì sui giornali. Il sindaco si dovette dimettere perché il consiglio comunale non riusciva ad accettare che mettessimo una stele o una targa con su scritto semplicemente che Alba Chiara era stata uccisa in quanto donna. Uccisa da un uomo perché in quanto donna aveva preso una decisione».

È diventato a suo modo femminista, questo padre che divide il suo tempo tra i turni in fabbrica e l’associazione che ha dedicato a sua figlia e che di lei porta il nome, conosciuta e attiva in tutto il Trentino. Perché dopo quella prima resistenza, al lutto e all’oltraggio, Massimo ha deciso che anche Alba Chiara doveva resistere, col suo messaggio, i suoi sogni, il significato della sua vita e della sua morte: «Non sono diventato psicologo ovviamente – spiega ridendo –, né sociologo. Non so spiegare il patriarcato o i rapporti fra uomini e donne, ma sono fermamente convinto che la sua storia vada raccontata insieme a quella di tutte le donne che vengono uccise, a cominciare da quelle a cui tocca questa sorte in Alto Adige». Le conosce per nome, le elenca tutte soffermandosi su Celine, che di anni ne aveva 21, ed è stata uccisa a Silandro ad agosto: «Non se ne parla già più, nessuno ricorda la sua storia. Sento di doverla raccontare io, è il motivo per cui la cito durante tutti gli incontri a cui partecipo». Papà Massimo vuole essere la voce delle vittime, ma vuole anche alzare la voce coi carnefici, «perché è soprattutto agli uomini che spero servano gli incontri, i laboratori e le attività che organizziamo. Io ne esco sempre cambiato, tornando a casa metto sotto la lente i miei comportamenti e ne riconosco i limiti, riconosco i limiti del nostro modo di amare, l’incapacità di esprimere il nostro disagio che può trasformarsi in violenza. Ma la violenza non è un destino».

Così donne e uomini si raccontano e si misurano nelle serate e negli eventi organizzati dall’Associazione Alba Chiara, in particolare con l’iniziativa del Festival Eutropia, «che è il nome della città delle connessioni di Calvino ed è il tentativo che vogliamo mettere in campo di intrecciare e ricostruire relazioni sane tra maschile e femminile». A cominciare dal supporto agli sportelli e ai centri antiviolenza del territorio, che negli ultimi anni si sono moltiplicati. Ma la resistenza continua: «Il 2 maggio voteremo per la Commissione provinciale Pari opportunità con tutte le 18 associazioni presenti sul territorio e impegnate in questo campo. Io sarò, purtroppo, l’unico uomo presente». La sfida è che gli uomini cambino, che facciano proprio la battaglia per i diritti delle donne. «Come dovrò insegnare a mio nipote». A inizio anno è arrivata la notizia che Aurora, la sorella minore di Alba Chiara, è incinta: «È un maschietto. Lo educheremo ad essere diverso».

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