Dalla Crimea al fallimento dei negoziati: così è esplosa la guerra tra Mosca e Kiev

dalla crimea al fallimento dei negoziati: così è esplosa la guerra tra mosca e kiev

Dalla Crimea al fallimento dei negoziati: così è esplosa la guerra tra Mosca e Kiev

La guerra in Ucraina ha inizio ufficialmente nel febbraio 2022, quando il presidente russo Vladimir Putin decide di riconoscere le repubbliche di Donetsk e di Luhanks e di dare seguito alle enormi esercitazioni militari in corso da settimane entrando nel territorio ucraino. Ma quello che è scattato nel 2022, altro non è che il frutto avvelenato di un processo iniziato da prima. Da quella rivoluzione di Maidan che se l’Occidente vedeva come l’avvio di un processo di avvicinamento dell’Ucraina, la Russia, al contrario, considerava come l’inizio del distacco di Kiev dalla sua sfera di influenza.

Il periodo tra la cosiddetta rivoluzione arancione e l’inizio dell’invasione è un arco temporale di otto anni che ha visto un’enorme crisi ai confini dell’Europa e che spesso è stata dimenticata anche dai leader e dagli osservatori internazionali. Un continuo focolaio di tensioni e di scontri che ha dato vita a una guerra a bassa intensità (ma non per questo non drammatica) e in cui si vedevano nell’ombra tutti i nodi mai sciolti che poi avrebbero costituito la base della guerra esplosa nel 2022.

Annessione della Crimea

Il primo elemento cruciale di quella crisi fu l’annessione della Crimea da parte della Russia, avvenuta con un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale. Mosca, subito dopo EuroMaidan, decise di appoggiare pubblicamente quel voto sia a livello diplomatico sia, soprattutto, a livello militare. La penisola, base della Flotta russa del Mar Nero, divenne la meta di un continuo flusso di militari russi senza insegne che vennero identificati come gli “omini verdi” e che riuscirono a occupare il territorio della Crimea insieme alle unità legate a Mosca. In breve tempo, la Crimea divenne sostanzialmente controllata da militari russi e filorussi, con l’Ucraina che non poté che assistere impotente a un dispiegamento di forze impossibile da frenare. Il referendum per l’indipendenza da Kiev e l’annessione da Mosca fu riconosciuto immediatamente da Putin, che in questo modo vedeva consolidarsi quello che era da tempo uno dei suoi obiettivi strategici: non perdere il bastione russo del Mar Nero e porre sotto il controllo del Cremlino un territorio fondamentale per i piani futuri della Federazione. Negli anni, il Cremlino ha dato sempre maggiore rilevanza a questa conquista, dando anche ampio risalto all’inaugurazione del pone di Kerch che doveva essere il primo grande segnale dell’unificazione fisica della penisola con la “madrepatria”. Tema ricorrente anche con l’invasione del 2022.

Donbass, il conflitto dimenticato

Se la Crimea ha visto un’annessione rapida da parte della Russia, che voleva a ogni costo radicarsi in quel territorio evitando il possibile ripristino del controllo ucraino, nel Donetsk e nel Luhansk l’evoluzione del conflitto è stata molto diversa. I separatisti si sono sollevati dopo Euromaidan con il sostegno dei paramilitari russi, ma la proclamazione delle repubbliche autonome non condusse a un referendum e al successivo passaggio dei territori da loro controllati sotto il potere di Mosca. Il governo ucraino decise, infatti, di reagire con una controffensiva che riuscì a immobilizzare l’avanzata delle forze filorusse e anche la possibilità di imporsi stabilmente nelle province indipendentiste. Ma allo stesso tempo, le operazioni militari di Kiev mostrarono che, nei fatti, i filorussi (e i russi sotto mentite spoglie) erano riusciti a blindare il possesso di quelle province, rendendo impossibile il ripristino dell’autorità del governo.

Minsk 1 e 2

Dopo numerose e violente battaglie, si arrivò in poco tempo un conflitto congelato e con migliaia di morti e feriti tra militari e civili. Lo scontro fece attivare la diplomazia occidentale (con un importante ruolo dell’Osce, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per raggiungere una tregua. Da questo lavoro nacquero il protocollo di Minsk, disatteso dopo poco, e il protocollo Minsk 2, firmato dai capi di Stato e di governo di Francia, Germania, Russia e Ucraina. Tra gli impegni previsti dall’accordo, l’immediato cessate il fuoco, un allontanamento delle armi pesanti con una zona cuscinetto larga decine di chilometri nelle aree orientali dell’Ucraina, il rispetto dei confini del Paese, il ritiro delle forze russe, un processo di riforma costituzionale per la decentralizzazione e un regime speciale autonomo delle regioni del Donbass. Insieme a questi punti, si prevedevano poi una serie di accordi sul rilascio degli ostaggi e l’amnistia per coloro che avevano preso parte al conflitto dalla parte dei separatisti.

L’interpretazione da parte di Kiev e Mosca è sempre stata però diametralmente opposta. Per il Cremlino, bisognava attuare immediatamente le disposizioni politiche (elezioni e regime speciale) e poi quelle militari (ritiro delle truppe e delle armi pesanti). Inoltre, l’obiettivo di Putin era sostanzialmente quello di avere nel Donetsk e nel Luhanks due strumenti di pressione costanti nei confronti del governo ucraino. Per i governi di Kiev, invece, Minsk 2, che di fatto era il congelamento di un conflitto che l’aveva vista perdere il controllo di due regioni orientali più la Crimea, doveva essere un modo per fare allontanare definitivamente le forze di Mosca e riottenere il controllo dei confini. E solo una volta ottenuto questo, si sarebbe proceduto a elezioni e una possibile riforma costituzionale.

Il ruolo della diplomazia e il congelamento

Di fronte a questa situazione, il Quartetto Normandia, composto da Russia, Ucraina, Francia e Germania, non è mai riuscito a trovare una definizione del conflitto, rimasto di fatto congelato in una logorante guerra di posizione e a bassa intensità. L’elezione di Volodymyr Zelensky all’inizio sembrava aprire spiragli per un accordo, promosso dallo stesso leader ucraino. Ma nel tempo, i rapporti si sono fatti sempre più tesi fino a sfociare in accuse reciproche e nel costante avvicinamento di Kiev verso l’Occidente per allontanarsi dall’influenza russa. Un periodo in cui Putin accusa la Nato di volere l’Ucrina come nuovo Paese membro, e in cui, nello stesso tempo, gli accordi di Minsk sono diventati sempre più lontani da una loro realizzazione. Per Kiev un protocollo che avrebbe dato a Mosca un potere di influenza costante. Per Mosca, un accordo che non è stato rispettato per interferenze occidentali. Le esercitazioni russe e le minacce sono poi diventate una quotidianità. Fino a che l’invasione ordinata da Putin ha cancellato per sempre un lavoro diplomatico difficile che ha dimostrato come Francia e Germania, un tempo protagoniste di quel negoziato, sono diventati del tutto ininfluenti rispetto ai destini del Paese invaso e dei rapporti con la Federazione Russa.

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