Un mercato di spioni. Ex dipendenti pubblici vendevano le "Sos" ai Paesi stranieri

Un mercato di spioni. Ex dipendenti pubblici vendevano le “Sos” ai Paesi stranieri

Per essere una bolla di sapone, la vicenda dei presunti dossieraggi puzza ogni giorno di più. E tanto. A conferma che non esisterebbe solo il sistema che il tenente Gdf Pasquale Striano avrebbe messo in piedi per confezionare dossieraggi raccogliendo informazioni riservate come le Sos (Segnalazioni di operazioni sospette) per rivenderle al miglior offerente, politico o imprenditore, quel segugio di Fabrizio Gatti – ex Espresso oggi direttore di Today.it – con una documentata inchiesta avrebbe rivelato l’esistenza della squadra Fiore, una sorta di Spectre composta da ex militari ed ex dipendenti infedeli di ministeri e Palazzo Chigi e consulenti esterni assegnati all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Una rete clandestina coordinata attraverso nomignoli e chat criptate da una società di intelligence francese, con sede a Roma in Piazza Bologna e mezzi civetta con lampeggiante blu sul cruscotto e paletta bianca e rossa ministeriale a disposizione, per spiare i conti in banca e gli spostamenti delle persone più esposte politicamente e no e cederle, anche all’estero, ognuna per «decine di migliaia di euro». Se la scoperta di Gatti venisse confermata, saremmo all’eversione.

L’inchiesta si basa sul racconto di alcuni testimoni-whistleblower che «in cambio della garanzia dell’anonimato, hanno mostrato le prove di quanto sta ancora accadendo». Nell’indagine giornalistica sulle intrusioni negli archivi riservati dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia e del ministero dell’Interno vengono diffusi i codici univoci di almeno tre Sos, con tanto di date e numeri di protocollo delle interrogazioni ai terminali. Riferimenti «che le autorità governative e la magistratura, con i loro poteri di indagine, potrebbero facilmente verificare», visto che ogni interrogazione dovrebbe infatti lasciare come traccia il codice identificativo dell’operatore che l’ha eseguita. È la stessa mollichina lasciata da Striano e riconosciuta dalla pm Antonia Gianmaria della Procura di Roma che è risalita all’ufficiale e l’ha convocato, prima di cedere il fascicolo a Perugia per il coinvolgimento del pm della Dna Antonio Laudati (che ieri ha preferito non parlare con i magistrati). Striano non farebbe parte di questa presunta gang di spioni che ricorda la stagione di Telecom e di Luciano Tavaroli, d’altronde il procuratore capo di Perugia Raffaele Cantone aveva implicitamente ammesso che il suo «metodo» era condiviso da altri servitori infedeli, visto che proprio una Sos era stata scaricata quando Striano era stato messo fuori gioco e privato delle chiavi d’accesso.

Ma chi fa parte di questo gruppo? «Il suo reclutamento è ancor più profondo nella struttura dello Stato: una sorta di servizio segreto parallelo, al di fuori del controllo delle istituzioni. Su come sia possibile che questi blitz non lascino tracce ci sono molti dubbi, anche se un hacker contattato dal Giornale spiega che attraverso password legate alle backdoor o al virtual computing (cioè da remoto) è possibile agganciare gli ingressi illeciti a computer di persone estranee, magari con delle «ripetizioni», facendoli annegare tra gli accessi documentati, purché si sia in possesso degli indirizzi Ip «giusti».

«Ai clienti in cerca di informazioni riservate sui protagonisti dell’economia italiana, dicono di essere la rappresentanza a Roma di una società di investigazioni americana che avrebbe sede nella Lower Manhattan a New York», scrive Gatti. «Una notizia sensibile, verosimile o inventata ma accompagnata da documenti autentici potrebbe far fallire acquisizioni all’estero, fusioni societarie e investimenti per miliardi». Il loro riferimento sarebbe una società francese di intelligence, «incaricata di raccogliere informazioni riservate su un centinaio di uomini d’affari italiani o impegnati in Italia» con contratti da migliaia di euro a committenti rimasti nell’ombra. C’è materiale per aprire un’inchiesta.

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