I familiari delle vittime nell’aula del tribunale dell’Aquila
L’AQUILA – Un anno e otto mesi all’ex prefetto Francesco Provolo (assolto in primo grado), 2 anni e 8 mesi al tecnico comunale Enrico Colangeli, condanne confermate per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (2 anni e 8 mesi), per i funzionari della Provincia di Pescara Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio (3 anni e 4 mesi ciascuno), 1 anno e 4 mesi per il capo di Gabinetto della Prefettura di Pescara Leonardo Bianco (assolto in primo grado). Rideterminata la pena per Bruno Di Tommaso, l’ex gestore del resort, a cinque mesi e 10 giorni (sei mesi in primo grado).
Sono 22, complessivamente, le assoluzioni.
È il verdetto con cui la Corte d’Appello dell’Aquila ha riformato la sentenza di primo grado per la tragedia dell’hotel Rigopiano, cancellato da una valanga il 18 gennaio del 2017 uccidendo 29 persone, con altre 11 scampate per miracolo, alcune con lesioni gravi.
“Una sentenza che ripaga, seppur in parte, la delusione di quella di primo grado. Certo, non ci sono vincitori né vinti, ma si intravede la luce della verità” ha commentato a caldo Alessandro di Michelangelo, fratello di Dino, morto nella tragedia.
Più in generale, i familiari ritengono che la sentenza rappresenti un “piccolo passo in avanti, ma mancano ancora dei tasselli”.
I FATTI
Il disastro risale al 18 gennaio 2017 quando, alle 16.49, una valanga travolse e distrusse il lussuoso resort alle pendici del versante pescarese del Gran Sasso, provocando la morte di 29 persone. Non ci sono state repliche dalla pubblica accusa, dalla parte civile e tanto meno dagli avvocati dei 30 imputati per i quali la Procura di Pescara ha fatto ricorso: da qui la decisione da parte del collegio dei giudici presieduto da Aldo Manfredi di ritirarsi subito in Camera di Consiglio dopo l’apertura dell’udienza di questa mattina.
Rigopiano, attesa per la sentenza d’appello
IL PRIMO VERDETTO
In primo grado, al Tribunale di Pescara, i pm avevano chiesto 151 di reclusione complessivi, ma il giudice Gianluca Sarandrea alla fine ne aveva inflitti solo 10 e 4 mesi, riducendo di fatto a tre i responsabili, dagli originali 30 imputati: il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, che era stato condannato a 2 anni e 8 mesi per la mancata ordinanza di sgombero dell’albergo, ritenuta causa di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose; i due funzionari del servizio strade della Provincia di Pescara, Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio (3 anni e 4 mesi ciascuno) per il mancato monitoraggio della viabilità in quei giorni di nevicate tremende, per non aver chiuso la strada che dal paese di Farindola conduceva al resort e per il grande pasticcio delle turbine rotte o non utilizzabili.
A loro si erano aggiunti Bruno Di Tommaso, il gestore del resort e il tecnico Giuseppe Gatto, sei mesi a testa, ma solo per un falso collegato all’ampliamento della struttura. Assolti altri 25 imputati, tra gli altri l’ex Prefetto Francesco Provolo e i suoi funzionari, l’ex presidente della Provincia Antonio Di Marco e i dirigenti della Regione che negli anni si erano rimpallati la redazione della carta sul pericolo valanghe.
Il processo di Appello si era aperto il 6 dicembre con la costituzione delle parti e, per volontà del presidente del Collegio, Aldo Manfredi, con un dibattimento vero in ben dieci udienze, con calendario serrato, per consentire un riesame accurato e sereno della sentenza di primo grado.
Il padre di una vittima: «Non è stata resa giustizia»
«Tutte le allerte valanga sono state ignorate. Con questa sentenza muore la prevenzione in Italia. Che la facciamo a fare?». È il commento di Egidio Bonifazi, padre di Emanuele, 31enne addetto alla reception dell’hotel Rigopiano, morto il 18 gennaio 2017 nella struttura di Farindola (Pescara) travolta da una valanga. «Ho provato molta confusione. Non hanno reso giustizia. Sono molto amareggiato perché non sono stati puniti i maggiori responsabili» ha aggiunto Bonifazi.
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