La sconfitta del centrodestra in Sardegna è un caso isolato o è il segno di un «vento che cambia»? «Né l’uno né l’altro, erano elezioni regionali e per rispetto dei cittadini non vanno strumentalizzate a fini di politica nazionale — risponde Massimiliano Fedriga, presidente leghista del Friuli-Venezia Giulia — Comunque, mi pare che il centrodestra abbia preso più voti del centrosinistra».
Sì, . «Gli elettori hanno fatto una valutazione sui candidati. Ma anche qui, Truzzu ha perso per lo 0,4 per cento…».
La sconfitta non deve far riflettere? « Detto che il cambio di orientamento degli elettori mi pare confermi che viviamo in un Paese democratico, torno ad invitare a non piegare il risultato a logiche nazionali. Le valutazioni vanno fatte in Sardegna per capire che cosa non ha funzionato lì».
Qual è lo stato di salute del centrodestra nazionale? «Ad oggi il governo mi pare stia dimostrando grande compattezza su tutte le scelte strategiche. Non vedo le tensioni che vengono descritte. Penso che debba continuare il lavoro guardando non a cosa succede domani ma nei prossimi anni».
Cosa intende dire? «Serve una politica di prospettiva. Noi italiani siamo bravissimi nell’emergenza ma continuiamo ad avere problemi nella programmazione strategica. Abbiamo sempre l’occhio puntato sulla prossima elezione e questo ci rende deboli nella competizione internazionale».
Serve uno sguardo lungo. «Non solo. Bisogna anche avere il coraggio di spiegare ai cittadini le scelte difficili che vanno fatte in un’ottica di lealtà. Se invece ci si lancia in promesse (dal reddito di cittadinanza alle pensioni) per conquistare gli elettori non si va molto lontano».
Lo dice anche al suo schieramento, ovviamente? «Certo, tutti devono cambiare logica. Abbandonare le personalizzazioni e pensare al bene del Paese in una visione di lungo termine».
Ma la politica italiana ragiona in altro modo. Per esempio, i leghisti veneti sono molto critici con Matteo Salvini. «Lo spirito di unità è fondamentale. È giusto fare tutte le riflessioni del caso, ma poi bisogna andare avanti con compattezza».
La Lega, però, sta perdendo colpi. «È chiaro che non è più il partito che prendeva il 34 per cento. Ma dobbiamo continuare a costruire con lo spirito che dicevo prima».
Il Ponte sullo Stretto, che ai leghisti del Nord non piace, rientra in questa logica? «Usciamo dalla logica della contrapposizione e pensiamo a ciò che serve per lo sviluppo dell’Italia. Serve il Ponte e serve, se guardo a casa mia, il Corridoio 5 (collegamento tra Venezia, Trieste, Budapest, Leopoli e Kiev)».
«Salvini è al capolinea» dice qualcuno. «Matteo si è preso la responsabilità di guidare il partito in momenti buoni e in momenti difficili. Credo che lo spirito di squadra e di unità debba prevalere».
Nel toto-segretario spiccano i nomi Fedriga e Zaia. «Leggo i retroscena, ma assicuro che sono interessato solo a continuare a fare il presidente della mia Regione».
Non le va di dedicarsi alla politica? «Beh, anche l’amministratore, con le sue scelte, fa politica. Vivo con entusiasmo il ruolo che svolgo adesso. Mi ha cambiato la prospettiva. Mi ha fatto capire che bisogna combattere le idee e non attaccare le persone. Su questo ho commesso degli errori».
Zaia «merita» il terzo mandato? «Credo che sia sbagliato scegliere le regole della partecipazione democratica rispetto alle opportunità dell’uno o dell’altro. La possibilità di scelta per i cittadini viene prima di tutto. Essendo quelle Regionali elezioni dirette, il potere sta nelle mani dei cittadini, limitarlo significa indebolire la partecipazione al processo democratico».
A chi rimpiange la Lega Nord cosa risponde? «Tutto nasce da lì. L’autonomia è una evoluzione della battaglia per dare voce e rappresentanza ai territori. E dobbiamo valorizzare questo concetto sempre di più».
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