Aveva già avuto permessi premio per svolgere attività di volontariato con l’appoggio di una parrocchia. Ma i permessi premio valgono al massimo per 45 giorni l’anno e a Rosa Bazzi quei 45 giorni non sarebbero bastati per lavorare. Così per lei è stato disposto dalla direzione del carcere, e approvato dal magistrato di sorveglianza, l’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario: il beneficio che consente ai detenuti di uscire ogni giorno per poter, appunto, lavorare. Per ottenerlo una ergastolana come lei deve passare in carcere almeno dieci anni e deve comportarsi, in sostanza, da detenuta modello.
Le pulizie nella coop per gli anziani
Rosa esce per lavoro da alcune settimane. Ogni mattina alle sette lascia la sua cella della sezione femminile del carcere di Bollate e si avvia verso una cooperativa sociale che si occupa di assistenza ad anziani. Ne esce nel pomeriggio e torna in carcere. La mansione delle sue nuove giornate libere è pulire, esattamente quello che faceva a casa di privati quando era una donna libera che nessuno aveva mai chiamato assassina.
La strage e la confessione
Poi la strage, lei che racconta di come sgozzò un bambino di due anni, che descrive le coltellate date alla cieca alle sue vicine di casa…Il solco fra il prima e il dopo della vita di questa donna che oggi ha 60 anni, è scavato da quel che accadde a Erba la sera dell’11 dicembre 2006. Le sentenze di primo, secondo e terzo grado hanno stabilito che lei e suo marito, Olindo Romano, quella sera uccisero a coltellate e sprangate Raffaella Castagna, la padrona dell’appartamento sopra il loro; sua madre Paola; suo figlio Youssef — due anni — e la vicina dell’ultimo piano, Valeria Cherubini. E invece al marito di Valeria, Mario Frigerio, Olindo tagliò di netto la gola ma lui si salvò per una malformazione alla carotide e divenne il testimone oculare di quella mattanza.
La richiesta di revisione
Ergastolo, decisero dal primo all’ultimo i giudici che si occuparono del caso. Ma adesso è tempo di tornare a parlare di Olindo e Rosa come «presunti innocenti» perché la seconda sezione della Corte d’appello di Brescia ha ammesso la richiesta di revisione del processo e ha fissato la data d’inizio: il primo marzo, cioè venerdì prossimo. Sapremo quel giorno quali fonti di prova saranno ritenute nuove e quindi potranno entrare nel processo bis. Gli avvocati di Rosa e Olindo si presentano all’udienza con sette nuove consulenze, rilettura di fatti e circostanze, intercettazioni ambientali, telefoniche, audio che definiscono «inediti»… Hanno depositato l’altro giorno la lista testimoniale dei loro sogni: vorrebbero chiamare a deporre in aula 33 fra consulenti, giornalisti, ex detenuti, carabinieri e gente della corte di Erba dove vivevano vittime e (a questo punto presunti) carnefici.
Quei rapporti sempre più tesi
Allegati agli atti ci sono anche le testimonianze video di Rosa e Olindo raccolte all’epoca in diverse sedute dallo psichiatra e criminologo Massimo Picozzi, voluto come consulente della difesa. I due raccontano dei rapporti sempre più tesi con Raffaella e suo marito, il tunisino Azouz Marzouk. Angherie, dispetti, rumori, liti furenti, una causa penale pendente davanti al giudice di pace aperta da Raffella contro di loro… Tutto questo si tramutò in odio.
La confessione di Olindo
La stessa donna che la trasmissione Quarto Gradoha mostrato tranquilla, fuori dal carcere, a buttar via sacchi di pattumiera, nei video-racconti di Picozzi dice in lacrime che quella sera «più picchiavo, più accoltellavo, più mi sentivo sollevata, mi sentivo forte…combatti con me adesso. Fai adesso… dai…reagisci». Lui invece ci tiene a specificare che quando seppe di Frigerio ancora vivo «ho detto a mia moglie: speriamo che muoia anche questo. E invece non è morto e siamo qui». Olindo aggiunge che «non ho provato né piacere né disgusto. Per me è stata una cosa normalissima, come quando uno ammazza un coniglio».
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