MAPPA DELL'ANTIDRAGHISMO ITALIANO

mappa dell'antidraghismo italiano

17/04/2024 Roma, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini partecipa nella sede di Confcooperative,all

La candidatura di Draghi viaggia controvento. Per capire l’aria che tira intorno all’ipotesi che l’ex premier possa essere eletto alla presidenza della commissione Ue, conviene leggersi le pagine che Matteo Salvini gli dedica nel libro Controvento. Il testo è in uscita per il 25 aprile, ma il leader della Lega ha fatto trapelare un’anticipazione. A orologeria. Il giorno dopo il discorso di Draghi sul futuro dell’Europa. E’ una stroncatura in piena regola, una “vendetta”, scrivono i giornali. Ma è anche un bastone tra le ruote all’alleata Meloni.

Racconta Salvini che Draghi dopo aver annunciato la fine del suo governo, lo incontrò per sondare “la disponibilità della Lega e del centrodestra in generale per un’eventuale sua ascesa al Colle. Alla mia domanda diretta: ‘In caso di sua elezione che ne sarà del governo?’, la risposta non arrivò. O meglio, ci fu un ‘ne parleremo dopo…'”.

Come se non bastasse, Salvini confessa l’avversione personale – “ma lo pensavano tutti i partiti” – per il modo in cui Draghi scelse i ministri leghisti di quel governo. “Uno scivolone. Ricordo che ero a casa, quando mi squillò il telefono. Palazzo Chigi. Da lì a dieci minuti, i nomi degli aspiranti ministri sarebbero stati consegnati al Colle. Draghi mi comunicò di aver individuato in Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia ed Erika Stefani i leghisti meritevoli di ottenere dei dicasteri. Nomi autorevoli ma il metodo era evidentemente sbagliato. Peraltro, era opinione diffusa in tutti i partiti”.

E ancora. In quell’esecutivo il premier scelse dei nomi – Lamorgese, Speranza e Di Maio – che Salvini definisce “sconcertanti”. E come se non bastasse, di fronte alle sue richieste di “una pace fiscale”, Draghi non fece nulla. Se queste sono le premesse, è fin troppo facile dedurre che la Lega non sosterrà l’ex premier in una eventuale corsa al vertice della Commissione. Il vicesegretario Andrea Crippa, all’Huffpost, spiega il senso politico. “Per prima cosa è un nome che non ha fatto ufficialmente nessuno. Neppure lui stesso si è candidato. Ma poi: vale per lui come per chiunque altro che laddove c’è il sostegno anche dei socialisti, la Lega non c’è. E siccome non è realistica una candidatura Draghi senza i socialisti, di che parliamo?” Insomma, nemo propheta in patria. E anche fuori patria le cose non vanno meglio. “Ma che significa? Anche Prodi è italiano. Ma se fosse candidato alla Commissione come facciamo a sostenerlo?”

A parte gli sponsor europei – Macron per tutti, e poi il polacco Donald Tusk – a dare vento all’ipotesi è stato per un verso il tenore del discorso di Draghi, che a Bruxelles è stato inteso come “un programma di legislatura”. E sul versante italiano l’innegabile sintonia che si è realizzata su alcuni capitoli tra la premier Giorgia Meloni e lo stesso Draghi. Il passaggio di consegne a Palazzo Chigi avvenne con Draghi che lasciava a Meloni un paper con gli impegni irrinunciabili. E soprattutto in tema di politica estera e conti pubblici, Meloni ci si è attenuta. Al punto da beccarsi le critiche di chi riteneva che tanto valeva tenersi Draghi.

Ma la campagna elettorale brucia ogni terra di mezzo. Lo sa bene Tommaso Foti, capogruppo di Fdi alla Camera, che ricorda come valga in questo caso il detto “chi entra papa, esce cardinale”. Interpellato dall’Huffpost, Foti chiarisce: “Mi sembra di rivedere la scena del Quirinale. Quando lui disse ‘ritengo esaurito il mio mandato’ e da lì lo hanno bruciato perché sono inevitabilmente prevalsi gli interessi di parte”. Si entrava nella lunga campagna elettorale delle politiche. Oggi la situazione non è dissimile. “Non possiamo essere noi a sostenere Draghi, noi che gli abbiamo fatto l’opposizione. Ci si chiede troppo. Per quanto riguarda la situazione dopo le europee, ci sono tante variabili da considerare. Leggo di Tusk che farebbe da apripista nel Ppe. E strabuzzo gli occhi. Ma il Ppe ha già un candidato, ed evidentemente potrebbe averne anche un altro di riserva. E lo stesso vale per il Pse. Siamo sicuri che i due partiti usciranno da questo schema, e convergeranno su uno esterno? A Draghi conviene stare dietro le quinte, ed essere richiamato nel caso in cui si verificasse un empasse politica dopo il voto sui nomi riconducili a Pse e a Ppe, o a loro sostituti. Intanto mi permetto di dare un consiglio: chiunque ci abbia fatto un pensiero, tenga la palla bassa”.

Se qualcuno pensava che l’elezione di Draghi potesse stabilizzare il governo di Giorgia Meloni, le schermaglie di queste ore basterebbero a dissuaderlo. Ma anche nel campo largo le cose non vanno meglio. Curioso: nel 2019-2020 quando Matteo Salvini e Giuseppe Conte governavano insieme si spendevano in proclami per un’eventuale ascesa di Draghi al vertice della commissione. Ora che sono all’opposizione interna dei rispettivi schieramenti, hanno cambiato idea.

Il Pd è invariabilmente destinato a dividersi. Paolo Gentiloni plaude a Draghi: “Ha centrato il punto, serve un cambio radicale dell’Europa per essere competitivi nello scenario globale”. Ma la sinistra interna è tiepida. Per Andrea Orlando, che di Draghi è stato ministro, l’ex premier va sostenuto sì, ma al Consiglio europeo. Non alla Commissione dove il candidato è Nicolas Schmit, che il Pse vuole sostenere puntando a essere il primo partito del Parlamento.

Giuseppe Conte è ancora più freddo. Per un verso invoca il programma dell’ex premier, perché dice, “ancora se la ricorda l’agenda Draghi”, motivo di lunghe dispute nell’esecutivo. E se proprio bisogna parlare di una svolta in Europa, allora la primogenitura spetta a lui, mica a Draghi. “Il M5s con me presidente del Consiglio, è stato il primo a dire che l’Europa deve dotarsi di un piano straordinario di finanziamento basato sul debito pubblico comune per affrontare le sfide e cambiare completamente rotta”, dice. E mette in chiaro che “le sfide non sono il riarmo e la transizione militare. Ma la transizione ecologica e quella digitale, le politiche del lavoro”. Un modo per rispedire al mittente questa agenda, così come la precedente.

Dall’Italia soffia un vento che porta Draghi fuori rotta: non alla Commissione, ma semmai alla presidenza del Consiglio Ue. Anche Matteo Renzi e Carlo Calenda, che pure si professano i suoi più convinti sostenitori, non riescono a fare una lista comune per il Parlamento europeo. “In tutto il nostro programma risuona la parola Draghi. Lui è la bussola”, dice Calenda. Che aggiunge: “Faremo di tutto per portarlo alla presidenza del Consiglio Ue”.

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