Michelle e quei bambini in un mondo che non è per loro
Gianni stringeva il figlio tra le braccia, alla fine della Messa, quando, a sorpresa, il parroco, rivolto al piccolo, disse: «Vedi Marco, il tuo papà è convinto che tu debba diventare come lui, ancora non capisce che è lui che deve diventare come te…».
Non si era inventato niente il vecchio prete. Aveva solo attinto dal Vangelo: «Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli». Diventare come loro. Regredire, dunque? Al contrario, avanzare, migliorare, essere promossi a uomini. Guardare avanti. Investire per costruire un mondo, una politica, un’economia a misura di bambini. Ciò ci aiuterebbe, oltretutto, a conservare quello spirito d’infanzia – che non è infantilismo – che ci fa godere il quotidiano scorrere del tempo.
A Caivano, nei giorni scorsi, una bambina di sei anni è caduta dal secondo piano. La notizia ci ha sconvolto. È ancora vivo nella nostra memoria il ricordo della piccola Fortuna, scaraventata dall’ottavo piano, dopo essere stata ripetutamente abusata. Anche “Chicca” aveva sei anni. Stavolta non si è trattato di un omicidio. La bambina, che chiameremo Alessia, è caduta mentre giocava sul balcone. Era sola in casa. La mamma, giunta dal lontano del Burkina Faso, si era allontanata per fare la spesa. Alessia non è grave, ma per lei e i suoi fratellini si apriranno le tristi porte di una casa-famiglia.
Passano pochi giorni. Dal campo Rom di Giugliano, antica città campana, una bambina di sette anni, Michelle, viene portata di corsa in ospedale. È inciampata su un cavo elettrico scoperto nei pressi di una pozzanghera ed è rimasta folgorata. Il suo cuoricino cede. Michelle dice addio alla vita. Impossibile descrivere lo strazio dei parenti. La commozione è tanta. Tantissime le domande unite alla rabbia e allo sconforto. Michelle ha trovato la morte dove ha vissuto i suoi pochi anni, in un campo Rom.
È triste ammetterlo, ma sembra che i bambini Rom siano considerati di serie B. Gli stessi soprusi che ci fanno gridare allo scandalo se commessi ai danni dei minori italiani vengono largamente tollerati se riguardano i loro coetanei Rom. Due pesi e due misure. I problemi sono enormi, è vero, lo so per esperienza personale. Non è sempre facile il dialogo con queste comunità, gelose della propria indipendenza e della propria cultura. L’integrazione tanto agognata rimane quasi sempre un progetto da realizzare. Però. Tutti sappiamo le pietose condizioni igieniche e sanitarie in cui vivono e fanno vivere i loro bambini, questi nostri fratelli.
I campi Rom sono un mondo nel mondo. Tolti i volontari, le associazioni, le Caritas diocesane e parrocchiali, che si interessano del problema, solo poche volte – o quasi mai – qualcuno mette piede in quei luoghi. Zone franche, nel bene e nel male. In questi giorni fa tanto freddo. Nelle capanne di lamiera e di cartone si gela. Per non morire assiderati vengono bruciati stracci, vecchi mobili raccattati nella spazzatura, pneumatici, plastica da cui si sprigionano colonne di fumi neri tossici. Si ricorre a qualche vecchia e difettosa stufa a gas o elettrica con rischi enormi.
Tra i mille problemi cui dobbiamo fare fronte, l’attenzione e l’amore ai bambini deve occupare il primo posto. I servizi sociali, la politica locale e nazionale, le forze dell’ordine, debbono continuamente monitorare e controllare che i bambini Rom godano degli stessi diritti del loro coetanei italiani. Anche le famiglie straniere necessitano di essere supportare e indirizzate. Tutto ciò che riguarda i bambini chiama in causa il mondo degli adulti. Nessuno pensi di potersela cavare a buon mercato. Non è facile, ma dobbiamo mettercela tutta per costruire un mondo a misura di bambini.
Mentre Michelle viene portata al camposanto ci chiediamo: questa tragedia poteva essere evitata? Si poteva fare di più? Sì, sempre si può tare di più e meglio quando si hanno le idee chiare e tanta buona volontà. E tenendo gli occhi sempre spalancati sulla Costituzione italiana e sul Vangelo della vita.
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