Lo scenario Draghi alla Commissione Ue agita il centrodestra. I due veti di Salvini

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Lo scenario Draghi alla Commissione Ue agita il centrodestra. I due veti di Salvini

C’è la campagna elettorale in vista delle Europee di giugno, certo. E c’è la sfida tra i Conservatori di Ecr (cui aderisce Fdi) e la destra-destra di Identità e democrazia (in cui milita la Lega) a conquistare il terzo gradino del podio di gruppo più numeroso del Parlamento Ue. Ma ad agitare le acque del centrodestra c’è anche l’incertezza sul futuro presidente della Commissione Ue.

Che sarà espressione di una riedizione dell’asse Ppe-Socialisti ci sono pochi dubbi, lo dicono tutti i sondaggi. Vanno però calando le quotazioni di un bis di Ursula von der Leyen, nonostante il Ppe l’abbia designata spitzenkandidaten. E aleggia il nome di Mario Draghi, il cui profilo coincide alla perfezione con quello del candidato ideale delineato venerdì scorso a Bruxelles da Emmanuel Macron (una figura che «non politicizzi il ruolo», che sappia «tutelare l’interesse generale» ed «elevarsi sopra i partiti e i Paesi»).

Ed è proprio questo lo scenario che fa salire la temperatura nella maggioranza. L’ex governatore della Bce è evidentemente un candidato pesante, l’uomo che nel 2012 lanciò il whatever it takes in difesa dell’euro. Se la spinta di Macron trovasse la sponda di Olaf Scholz, lo scenario diventerebbe concreto. Perché – è storia – l’Europa viaggia da sempre sull’onda dell’asse franco-tedesco. E il cancelliere ha più di un motivo per non essere ostile. Tra cui uno contingente, ma pressante: nel patto di governo della maggioranza che in Germania sostiene Scholz, c’è scritto – nero su bianco – che, se von der Leyen non verrà riconfermata, il prossimo commissario tedesco sarà dei Verdi. E visti i distinguo degli ultimi mesi della componente ecologista che guida il governo della Germania, per il cancelliere sarebbe davvero il miglior modo per spegnere l’incendio.

È per tutte queste ragioni che lo scenario Draghi resta in campo. E condiziona le questioni di casa nostra. Giorgia Meloni sul punto non si esprime e quelli a lei più vicini sono discordi. C’è chi non nasconde scetticismo verso una soluzione che ha anche risvolti non positivi: con Draghi al vertice della Commissione, infatti, non solo l’Italia non avrebbe diritto al commissario, ma l’ex Bce diventerebbe il primo referente europeo per le questioni di casa nostra. Però, è il controcanto di un ministro di Fdi, con lui «abbiamo un rapporto di leale collaborazione», nonostante «siamo stati l’unico partito di opposizione quando era al governo in Italia». Eppoi, non un dettaglio, Draghi sarebbe «un ombrello» per l’Italia se la crisi tra Mosca e la Nato prendesse la strada che nessuno auspica. Con sullo sfondo considerazioni di politica interna. Meloni, infatti, avrebbe agio a mettere il cappello sul nome di un italiano, per quanto espressione di una «maggioranza Ursula». E per Matteo Salvini – che anche ieri ha ribadito il suo «no» a von der Leyen e in generale a governi Ue «con Macron, i Socialisti e i signori delle bistecche sintetiche» – sarebbe difficile votare contro chi solo due anni fa guidava un governo sostenuto dalla Lega. Avrebbe argomenti forti il leader del Carroccio per non opporsi (o quantomeno astenersi), dall’essere riuscito a «sventare» il bis di von der Leyen al fatto che Draghi è un italiano e sarebbe comunque una sorta di soluzione tecnica e non politica. Però, dovrebbe accettare un presidente della Commissione Ue votato anche dai Socialisti e spinto da quel Macron che da giorni cannoneggia, peraltro compromettendo l’intesa con Marine Le Pen.

Insomma, per Salvini sarebbe una partita complessa. Non è un caso che ieri Luca Ciriani, ministro dei Rapporti con il Parlamento di Fdi, abbiamo replicato al leader della Lega che da giorni ribadisce la sua contrarietà a von der Leyen, Macron e intese con i Socialisti (che, calcolatrice e sondaggi alla mano, sembrano ineluttabili). «Cosa faremo lo decideremo dopo il voto, ma – dice intercettato nella buvette della Camera – noi della coerenza abbiamo fatto il primo comandamento, tanto che siamo stati all’opposizione di M5s e Pd». Il non detto è una riflessione che la premier in privato va ripetendo da giorni. Salvini – è il senso delle considerazioni di Meloni con diversi interlocutori – negli ultimi cinque anni ha fatto di tutto, dal vicepremier del Conte 1 a guida M5s al sostegno al governo Draghi con il Pd. «Davvero vuole dare lezioni di coerenza a me?».

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