Giovanna Pedretti, la mamma di Tiziana Cantone: «Uccisa dalla gogna social, come accadde a mia figlia»
Il caso di Giovanna Pedretti come quello di Tiziana Cantone? Anche se a prima vista le due vicende possono sembrare molto lontane tra loro, a fare il parallelismo è la mamma di Tiziana, la donna che si tolse la vita dopo che sui social era stato diffuso un suo video hard. Teresa Giglio, all’Adnkronos, è molto netta: «La gogna dei social uccide, perché lì non si pesano le parole, tanto nessuno viene punito, soprattutto se si utilizzano profili anonimi. Quelle parole possono uccidere due volte: prima l’anima e poi la persona. Vedo un parallelo tra Giovanna e Tiziana».
Il parallelismo tra Giovanna e Tiziana
Tiziana si suicidò sette anni fa dopo essere stata messa alla gogna sui social per un filmato privato diffuso sulle chat e sui portali web. Teresa non ha dubbi: il suicidio di sua figlia e quello della ristoratrice di Lodi Giovanna Pedretti hanno le stesse cause. «Ormai – dice Teresa Giglio – il web è stato trasformato in una Santa Inquisizione, dove ognuno punta il dito e dove non si pesano le parole, senza pensare all’altra persona. Ad esempio, vorrei sapere cosa importava ad alcuni influencer puntare il dito contro quella povera ristoratrice o scoprire se quella recensione fosse vera o fasulla. Cosa cambiava?».
«Eppure – continua - sanno che effetto hanno determinate frasi, che influenzano l’opinione pubblica, scatenano le gogne social, provocano gli odiatori e rischiano di distruggere la vita di una persona. Prima di emettere la propria sentenza, perché non pensano alla persona dall’altro lato? Loro non sanno le fragilità che esistono in ognuno di noi o quelle che si possono creare nel momento in cui scatenano i commenti carichi di odio dei loro follower».
Il caso di Tiziana Cantone
La madre di Tiziana Cantone torna sul caso giudiziario, con l’inchiesta archiviata come suicidio pochi giorni fa. «Mia figlia subì un duplice omicidio: prima una gogna social, che la uccise nell’anima e nell’identità e la spinse addirittura a cambiare cognome, poi l’omicidio vero e proprio. Allora, se si è trattato di suicidio come sostengono gli inquirenti, ciò è avvenuto a causa della gogna mediatica innescata dai detentori della verità assoluta. Negli anni, in tanti si sono espressi su mia figlia, ma nessuno sapeva chi fosse davvero Tiziana. Nessuno sapeva le sue fragilità».
«Avevo deciso di non parlare – aggiunge all’Adnkronos Teresa Giglio – ma ora voglio ribadire che non mi fermo, la mia battaglia per ottenere giustizia e verità per mia figlia andrà avanti. Non ci sono prove per sostenere che si tratti di omicidio, ma non ce ne sono neanche per sostenere che si tratti di suicidio, visto che non furono fatti rilievi e che quella pashmina sottile non è mai stata sigillata, ma fu conservata in una busta della spesa».
L’appello alla politica: «Il web è una giungla»
Teresa Giglio, poi, attraverso l’Adnkronos fa un appello alla politica: «Le gogne social vanno combattute e punite. La mia battaglia portò ad una legge che è andata a regolamentare la revenge porn, una definizione che a me non è mai piaciuta. Ma il vero problema da risolvere è un altro. Nei giorni precedenti alla morte di Tiziana, nacquero decine di profili fake a suo nome, ma quelle persone sono rimaste impunite. Impunite come gli ‘haters che utilizzano false identità e quotidianamente infangano il nome di mia figlia, insultano persone come Giovanna e minacciano anche me». «Il web è diventato una giungla – prosegue Teresa Giglio – dove la gente riversa odio e frustrazione, spesso in maniera anonima, contro chiunque. La politica deve regolamentare questo flusso fake: chi vuole esprimere opinioni, deve mettere il proprio nome e cognome, deve essere perseguibile a norma di legge, deve rispondere delle proprie azioni e delle proprie parole. Da anni le mie denunce cadono nel vuoto – conclude Teresa Giglio – e si continua a permettere a chi utilizza profili fake di rovinare la vita alle persone, se non addirittura a togliergliela, come accaduto a Tiziana e a Giovanna».
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