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A 97 anni compiuti lo scorso giugno Mel Brooks non ha abbandonato la sua massima “ridi e il mondo riderà con te”. Ieri sera in occasione della consegna dell’Oscar onorario a lui e all’attrice Angela Bassett il comico ha lasciato di stucco la platea dicendo: “Grazie per il riconoscimento, questo prometto di non venderlo”. Il quattordicesimo Governors Awards non è stato trasmesso in televisione, ma in sala c’erano Martin Scorsese, Christopher Nolan, Leonardo DiCaprio, Penélope Cruz, Natalie Portman, Bradley Cooper e Jon Batiste.
Mel Brooks è un genio inimitabile che con una dozzina di film da regista, una cinquantina di crediti d’attore senza parlare di tutti i suoi spettacoli teatrali, si è conquistato un posto d’onore nel mondo della comicità intelligente e surreale, maestro di gag e battute che sono diventati tormentoni in particolare quelli tratte dal suo film cult Frankenstein jr. Nella sua lunga carriera ha ottenuto un Oscar a quarant’anni per il suo film d’esordio Per favore non toccate le vecchiette, ed è proprio questa statuetta che Brooks sembra aver venduto “perché i tempi allora erano duri”, Brooks è uno dei pochi (sono una ventina in tutto) che possono vantare un poker di premi denominato EGOT (oltre all’Oscar, Emmy ne ha vinti 3, sia come attore sia come autore, Grammy di nuovo 3 e Tony Award ancora 3).
Risate e anche momenti di commozione per la serata celebrativa: Matthew Broderick e Nathan Lane hanno fatto una serenata a Brooks con un medley, esortando la folla a unirsi per Springtime for Hitler, la canzone del suo musical storico The producers (in italiano appunto Per favore non toccate le vecchiette). Poi da allora niente, questo Oscar alla carriera è un giusto riconoscimento per un artista che non è mai andato in pensione tanto che ha partecipato quarantadue anni dopo all’inatteso sequel in versione seriale La pazza storia del mondo parte 2, uscito in America su Hulu con la benedizione del suo creatore che ha partecipato alla serie nei panni del narratore che nel film era stato di Orson Welles.
Nato a Brooklyn da genitori ebrei, figli di immigrati dalla Germania e dalla Russia, Melvin Kaminsky all’anagrafe, è un ragazzino che per difendersi da compagni più grandi e aggressivi di lui sfrutta la chiave della comicità. Per lui la risata è una missione fin da ragazzo. “Ho saputo di essere nato per fare il comico all’età di una settimana, quando tutti si affacciavano sulla mia culla e scoppiavano a ridere” raccontava qualche anno fa Brooks. “Quando ero un ragazzino osservavo mia madre piangere e ridere, non sapevo perché piangeva o perché rideva ma ero felice se lei rideva e molto infelice se lei piangeva. Così ho cominciato a far ridere mia madre per farla stare bene e poi dopo di lei tutto il resto del mondo”.
Se la casa fu il primo palcoscenico, il secondo fu l’esercito. Mel Brooks intratteneva i commilitoni con imitazioni e parodie alla fine della seconda guerra mondiale alla quale partecipò diventando caporale di fanteria, al ritorno a New York iniziò la sua gavetta, furono anni duri. Dopo un lungo periodo passato nei club notturni di fronte a un pubblico esigente e poco educato, Brooks arrivò in televisione, erano gli anni del boom, scriveva per vari show televisivi e format, la sua strada si incrociò anche con quella di Woody Allen. Era finalmente arrivato il successo. E la chiamata da Hollywood. “Non esiste una vera ricetta per il successo, se hai talento il successo arriverà – dice Brooks – Sono pochi quelli che hanno talento, che osservano la vita e sanno trasformarla in commedia: Ernest Lubitsch, Billy Wilder, Woody Allen e Mel Brooks. Il talento è necessario ma non basta, occorre ispirazione e duro lavoro perché il sogno si avveri”.
Se come attore e autore Mel Brooks ha abitato la commedia, come produttore ha prodotto film come The Elephant Man (1980) di David Lynch e La mosca (1986) di David Cronenberg. D’altronde Brooks lo aveva detto: “Esistono due tipi di produttori: un tipo solo interessato ai soldi, che farebbe qualunque cosa purché sia popolare e un altro (ma sono pochi) veramente interessato all’arte. Naturalmente io appartengo al primo gruppo… scherzo, io con il mio lavoro cerco sempre di fare qualcosa di pazzo e bello, sperando di farne dei soldi”. E diverse volte ci è riuscito.
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