Biden, Trump e il re nudo

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Biden, Trump e il re nudo

Il re è nudo! La voce dell’innocenza coglie una verità e, come nella fiaba di Andersen adattata alla corsa presidenziale americana, non si può più fare finta di ignorare che la probabile sfida del 5 novembre tra Joe Biden e Donald Trump può trasformarsi in un duello sul ciglio del burrone. In pochi giorni sono emerse con ancora maggiore evidenza le debolezze dei due candidati. Non nello stesso modo, con profili diversi, eppure le preoccupazioni generali si fanno ugualmente consistenti. Il rapporto del procuratore speciale Robert Hur sulla presunta gestione irregolare da parte del presidente in carica di carte secretate ha finito con l’evidenziare per la prima volta in un documento ufficiale che l’indagato non ha commesso reati ma è «un anziano confuso e dalla memoria labile». Un giudizio non pertinente all’inchiesta, però sufficiente per ricomporre davanti all’opinione pubblica un quadro coerente delle gaffes e delle distrazioni (solo verbali, apparentemente) registrate in questi anni. Biden ha cercato di reagire convocando una conferenza stampa in cui ha però peggiorato la situazione, definendo il presidente egiziano al-Sisi leader messicano e non dando quell’impressione di calma e lucidità che voleva trasmettere. Poco dopo, a svelarsi è stato direttamente lo sfidante repubblicano, che in un comizio in South Carolina ha riferito di un passato colloquio con un capo di Stato europeo usandolo come monito per il futuro. Non spendete almeno il 2% del vostro Pil per la Difesa? «Allora scordatevi che l’America vi difenda sotto l’ombrello della Nato. Anzi, incoraggerei Putin a farvi ciò che vuole».

Un tradimento dell’Alleanza atlantica, un messaggio dirompente contro tutte le democrazie. E, ancora peggio, forse il messaggio lasciato filtrare sottotraccia quando era alla Casa Bianca e che potrebbe essere stato preso sul serio a Mosca nel pianificare la successiva invasione dell’Ucraina il 24 febbraio 2022. I vestiti nuovi, per rimanere nella metafora della fiaba, del presidente della superpotenza – l’essere al comando di una grande e potente nazione – non sono sufficienti per mascherare quello che è sotto gli occhi finalmente aperti di tutti. Ma non è detto che la rivelazione sia soltanto foriera di un pessimistico conto alla rovescia verso un esito comunque negativo, soprattutto se visto dall’Europa. E qui gli scenari si dividono. Le pressioni dal suo campo su Biden perché passi la mano a un candidato più giovane e affidabile sono probabilmente tardive. Chiunque subentrasse non sarebbe credibile come comandante in capo improvvisato in poco più di sei mesi. Quello che invece potrebbe emergere è un’accoppiata vincente, con un vicepresidente di talento, capace di imparare rapidamente le regole e i doveri del potere, pronto così a costituire una rete di sicurezza in un mandato che sarà cruciale per gli equilibri mondiali, pronto eventualmente a ereditare il difficile incarico nel caso di un declino accelerato del numero uno. Non una soluzione ideale in un sistema elettivo diretto, eppure un escamotage funzionale e non del tutto disonorevole (si pensi, pur con tutte le differenze di epoca, a ciò che di buono fece Lyndon B. Johnson dopo l’uccisione di John F. Kennedy nel 1963).

Sull’altro versante, le dichiarazioni del tycoon repubblicano che punta a tornare nello Studio Ovale non lasciano adito a dubbi sull’orientamento che intende imprimere a un suo eventuale secondo mandato. Si può certo pensare che la retorica incendiaria di un comizio lascerà spazio a mediazioni e maggiori cautele. Tuttavia, il punto è che questa volta Trump avrà con sé un blocco omogeneo deciso a sostenere la direzione di marcia che egli imprimerà all’Amministrazione. Nell’ipotesi di successo dello sfidante nella corsa Usa, la caduta di ogni maschera di moderazione è un salutare schiaffo che può risvegliare gli alleati da insidiose illusioni. L’Unione europea ha davanti a sé un futuro da attore autonomo sullo scacchiere mondiale che deve costruirsi al più presto. La deriva isolazionista di un’America spaccata e tentata da un populismo aggressivo potrebbe essere solo ritardata da altri quattro anni di leadership democratica. Occorre farsi responsabili di un potenziale vuoto geostrategico che non si può lasciare occupare alle autocrazie che si fanno largo con violenza e repressione. Ma vedere finalmente che il re è nudo può essere anche l’inizio di una risalita, sia per gli Stati Uniti sia per il resto dell’Occidente. Sempre che si sappia cogliere la morale della favola.

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