Sponda coi cronisti per pilotare le inchieste. Così il pm manovrava i vertici delle Procure
Non ci sono solo gli scoop a senso unico passati a giornalisti amici, tra le colpe che l’inchiesta della procura di Perugia attribuisce a Antonio Laudati, tuttora pubblico ministero alla Direzione nazionale antimafia, e a Pasquale Striano, luogotenente della Guardia di finanza, da lunghi anni in servizio alla Dna dove si muoveva (raccontano in molti) come una sorta di plenipotenziario. Grazie al rapporto con i giornalisti, Laudati riusciva a aprire le inchieste che gli stavano a cuore passando ai cronisti informazioni riservate, e dopo la pubblicazione degli articoli li utilizzava per convincere i suoi capi ad aprire una indagine. Perché attaccare certi bersagli stava a cuore a Laudati? La risposta è chiara e sconcertante. Laudati possiede un appartamento nei pressi di uno stabile di una congrega religiosa, e convince il suo capo ad aprire un fascicolo «pre-investigativo» sulla stessa congrega basandosi su articoli del Messaggero e del Domani. Peccato che gli articoli fossero stati ispirati da Laudati e Striano passando ai giornalisti atti coperti da segreto.
Per queste operazioni la procura di Perugia accusa il pm di falso in atto pubblico proprio per le relazioni inviate ai capi della Dna (prima Cafiero de Raho, poi Giovanni Melillo) per giustificare l’apertura di un’indagine. Quando non usano gli articoli di stampa, i due impiegano altri espedienti.
In un caso, sostengono di essere in possesso di segnalazioni di Bankitalia a carico di un soggetto, tale Luigi Lauro, accusandolo di riciclare per conto di un clan camorrista di Giugliano: in realtà la loro fonte è un avversario di Lauro, tale Giuseppe Cannella, che Laudati fa incontrare ripetutamente con Laudati e con un altro finanziere, Massimo Carlesi. Vicende minori, in cui individuare il movente si annuncia difficile. Lo stesso vale per l’episodio più eclatante citato negli atti, che vede come obiettivo il presidente della Fgci Gabriele Gravina, il numero uno del calcio italiano.
Nel maggio 2022 Laudati chiede al suo nuovo capo, Giovanni Melillo, di aprire un fascicolo su Gravina, sostenendo che gli «atti di impulso» provenivano da «elementi informativi provenienti dalla Procura della Repubblica di Salerno». In realtà, secondo quanto compare nelle carte, l’imbeccata a Laudati era venuta da un lobbista del pianeta calcio, Emanuele Floridi, già stretto collaboratore di Gravina e poi in aspro conflitto col presidente della Fgci. Al centro della vicenda ci sarebbero accuse a Gravina sulla gestione dei diritti televisivi delle serie minori. Ma Laudati tiene coperta la fonte anche con i suoi capi, e da quel momento Striano si scatena in una serie di accertamenti illegali sul mondo del business calcistico: vengono schedati il proprietario della Salernitana Danilo Iervolino, l’ex trustee della stessa società Paolo Bertoli, l’ex patron Marco Mezzaroma, persino Marco Bogarelli, il più importante imprenditore dei diritti tv morto da un anno. Alla fine, nel marzo 2023, Striano e Laudati procuravano «intenzionalmente un danno a Gravina Gabriele» proponendo la trasmissione alla procura di Roma di un atto in cui «ipotizzavano attività illecite poste in atto dallo stesso Gravina».
LF
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