Sardegna, sorpresa 5 Stelle. La terza vita di Conte: ora il M5S detta l’agenda ai dem

Roma, 27 febbraio 2024 – Sembrava dovesse essere il commissario liquidatore della più rilevante esperienza politica populista della storia italiana: e, del resto, verrebbe da dire che ne avrebbe potuto avere anche l’aplomb (come avvocato) e lo stile (come elegante professionista prestato alla dimensione pubblica). Sembrava, dopo la rottura con il Pd di Enrico Letta per la caduta del governo Draghi, dovesse essere il destinatario di una eterna fatwa, che lo dovesse relegare ai margini dello schieramento politico, senza possibilità alcuna di essere considerato degno di partecipare a nuove coalizioni di centrosinistra o anche solo di sinistra. Sembrava, ancora, che quelle che erano state le bandiere del grillismo di lotta e di governo (dal Reddito di cittadinanza al salario minimo, per non parlare del pacifismo semi-neutralista in politica estera) si dovessero ammainare come vessilli di sconfitta anche nell’orizzonte programmatico del riformismo progressista.

sardegna, sorpresa 5 stelle. la terza vita di conte: ora il m5s detta l’agenda ai dem

Il presidente del Movimento 5 Stelle (M5s) Giuseppe Conte durante la trasmissione televisiva di RaiUno, Porta a Porta, condotta da Bruno Vespa, Roma, 27 febbraio 2024. ANSA/ANGELO CARCONI

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Sembrava. E, invece. Invece, nell’arco di poco meno di tre anni, Giuseppe Conte è riuscito nell’impresa di prendersi il Movimento, diventare centrale e indispensabile per ogni alleanza di centrosinistra, dettare l’agenda della nuova sinistra, spingendo i Dem a spostarsi, con l’arrivo di Elly Schlein, dall’agenda Draghi all’agenda Conte senza neanche passare dal via.

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La prima missione l’ha compiuta diventando il numero uno del Movimento, conquistando una leadership che nessuno oggi osa mettere in discussione, mettendo di fatto ai margini, fino alla fuoriuscita, l’ex capo Luigi Di Maio, insieme con il figlio del fondatore, Davide Casaleggio, fino, addirittura, al drastico esautoramento del guru originario, quel Beppe Grillo che ormai non ha più nessuna voce in capitolo. Senza contare il successo, grazie al marchingegno fatale e magico che si è trovato in mano del vincolo dei due mandati, dell’operazione di rinnovamento delle liste dei parlamentari, in modo tale da non dover fare più i conti con la prima e ormai “vecchia” guardia dei 5 Stelle e, anzi, da avere deputati e senatori “nuovi” e “contiani”.

La seconda impresa era addirittura al limite dell’impossibile: salvare il Movimento dall’inevitabile crollo elettorale e rimetterlo nel mezzo del “campo largo” (formula che, per di più, al leader grillino non piace neanche) del centrosinistra. Eppure, a ben vedere, la rottura con il governo dell’ex banchiere centrale e la corsa in solitaria sono state, probabilmente, una sorta di lavacro di purificazione dalla contaminazione governista, tecnocratica e piddina versione Letta: e, dunque, in questo senso, un antidoto che ha impedito la scomparsa del Movimento alle elezioni dell’autunno del 2022. Il che, però, poteva garantire al massimo la sopravvivenza, se non fosse arrivata la vittoria della Schlein alle primarie dem, che ha prodotto una virata drastica verso un radicalismo movimentista, con il corollario della ripresa del progetto di alleanza giallo-rossa.

Ma anche questo cambio di rotta del Nazareno, se da un lato ha determinato l’uscita dall’isolamento dei grillini in maniera rapida e clamorosa, dall’altro poteva rivelarsi una minaccia elettorale, politica e di leadership per Conte. Non è accaduto, almeno fino a oggi. Anzi, è successo il contrario: il numero uno dei 5 Stelle ha incassato il dividendo della riapertura del dialogo con il Pd e lo ha moltiplicato in termini di indispensabilità politica e programmatica di quel “campo largo” rispetto al quale può togliersi anche il gusto di storcere il naso, quando se ne parla. E così, se guardiamo ai programmi, è difficile negare che oggi l’agenda del Pd di Schlein non sia mutuata largamente da quella grillina: e, d’altra parte, è soprattutto con lui che si confronta il segretario della Cgil, Maurizio Landini, quando si parla di dossier sociali. E se consideriamo il nodo delle alleanze, la valutazione non può essere differente: nella prima prova elettorale post sconfitta 2022, l’ex Avvocato del popolo riesce a portare a casa la vittoria della prima presidente di Regione del Movimento. Senza che questo determini per lui nessun impegno a garantire appoggi a candidati Pd in altre regioni, a meno di non passare da stringenti trattative caso per caso. E, per capirsi meglio, vedi alla voce Piemonte: doveva essere appannaggio dem, dopo il patto sardo, ma non è detto che questo esito sia scontato. Si vedrà. Ma, d’altronde, non era stato un leader Pd, Nicola Zingaretti, a cambiare idea al volo e a decidere, in una notte d’agosto, di accettare l’incoronazione di Conte come premier dell’esecutivo giallo-rosso e, qualche mese dopo, a benedirlo come “un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste”?

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