"Vi dico perché Putin ha ucciso Navalny"

“Vi dico perché Putin ha ucciso Navalny”

Di certo, sulla morte di Alexei Navalny, si conosce solo il colpevole. Restano da chiarire la dinamica, le cause, i tempi, i modi del decesso, dove sia finito il corpo, se sia stata fatta o meno l’autopsia. Domande senza risposte che, negata dal Cremlino un’investigazione internazionale per fare luce, rischiano di rimanere per sempre sepolte tra le mura del “Lupo polare”, il carcere siberiano di massima sicurezza dove era detenuto l’oppositore russo. A provare a fare chiarezza è il collaboratore di Navalny, Vladimir Milov, – vicepresidente della Fondazione Russia Libera, ex viceministro dell’Energia, oppositore in esilio, a sua volta condannato in contumacia – chiamato a testimoniare al parlamento europeo sulla morte dell’amico e collega.

La moglie di Navalny, Yulia Navalnaya, ha detto che Alexei è stato avvelenato con il Novichok. Che prove avete raccolto in merito?

“In realtà, ha detto che Putin era nella posizione di controllare totalmente Navalny in carcere e, dunque, di avvelenarlo con il Novichock, come aveva fatto – ed è stato dimostrato – nel 2020. Quindi, non si è riferita a un fatto provato, ma a una possibilità basata su quello che è già accaduto”.

Siete riusciti a scoprire dove si trovi il corpo e se sia stata effettuata l’autopsia?

“No, non ci hanno fornito alcuna informazione ufficiale e verificata a riguardo. Non sappiamo dove sia il corpo, cosa sia successo, se sia stata fatta l’autopsia. Zero. Ed è per questo che la madre di Navalny, Lyudmila, ha denunciato le autorità russe, contestando il rifiuto di consegnarle la salma del figlio”.

Cosa sapete sulla dinamica di quello che è successo? Sono state fatte diverse ipotesi sulle cause della morte, è comparso un video dell’ipotetico trasporto del feretro…cosa c’è di vero?

“Non abbiamo alcuna prova delle notizie riportate, ma solo una serie di informazioni contraddittorie rilasciate da fonti anonime. L’unica cosa rilevante è il video del trasporto postato online, che è frutto di un’investigazione di una testata indipendente e attendibile, Mediazona, che ha scaricato delle immagini accessibili, riprese dalle telecamere di sorveglianza del traffico vicino al carcere dove si trovava Navalny. Che stessero trasportando la sua salma è una ricostruzione credibile perché i veicoli utilizzati appartengono effettivamente al servizio penitenziario della colonia penale. Per il resto, non crediamo a nulla di quello che è stato pubblicato dai media. Il nostro obiettivo, ora, è quello di pretendere e ottenere informazioni ufficiali da parte delle autorità”.

Perché Putin ha deciso di eliminare Navalny proprio ora?

“Penso che Putin avesse un piano ben preciso. Aveva già tentato di eliminarlo nel 2020, così ci ha riprovato un’altra volta e ci è riuscito. Navalny in prigione era completamente nelle mani di Putin, per lui eliminarlo era facilissimo e così ha fatto, poco per volta. Ha iniziato già nell’autunno scorso, quando gli è stata impedita qualsiasi comunicazione con l’esterno e il suo avvocato è stato arrestato. A dicembre, è stato trasferito in una colonia penale di massima sicurezza super isolata: la destinazione finale per assassinarlo. La comunicazione con l’esterno assente, il regime strettissimo e la prigione completamente isolata erano le condizioni ideali per attuare il suo piano omicida”.

Perché farlo il 16 febbraio, però?

“Non penso che sia una coincidenza che sia stato ucciso il giorno di inizio della Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Putin ha voluto mandare un chiaro messaggio all’Occidente: “Io faccio quello che voglio e voi non mi potete fermare”. Poi, è esattamente un mese prima delle elezioni presidenziali russe e lo scenario attuale non è quello sperato da Putin. Ai suoi eventi elettorali la gente è stata condotta con la forza, mentre l’unico candidato apertamente contrario alla guerra in Ucraina, Boris Nadezhdin (ora escluso dalla corsa, ndr), riusciva a mobilitare folle di sostenitori. Questo ha fatto vacillare la prospettiva, auspicata da Putin, di una vittoria schiacciante con l’80% dei consensi, portandolo a un’escalation progressiva nella repressione di tutti i potenziali oppositori”.

Anche dietro le sbarre, per Putin, Navalny era una minaccia da eliminare.

“È comune in tutte le dittature che un leader imprigionato simbolo dell’opposizione al regime e in grado di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica dia fastidio e costituisca la minaccia numero uno. Succede per tutti i dissidenti imprigionati, in tutte le dittature. Ma attenzione, Navalny non era, come viene definito in Occidente, un dissidente. Era un politico estremamente popolare in Russia che sfidava e aveva le credenziali per sfidare politicamente Putin a livello nazionale. Quando ha partecipato alle elezioni comunali a Mosca, dieci anni fa, è arrivato secondo con il 27%. E nei recenti sondaggi sulle presidenziali era saldamente al secondo posto, dopo Putin”.

L’Occidente ha delle responsabilità riguardo la fine di Navalny?

“Non voglio fare il gioco delle colpe. Certo, la risposta dell’Occidente alla brutalità di Putin è stata spesso tardiva. Spero che ora si colga l’occasione per introdurre dure sanzioni economiche individuali, non solo contro i vertici del regime putiniano, ma anche contro tutte le figure minori che hanno delle responsabilità, facendo parte della cerchia al potere: questo è quello che avrebbe voluto Navalny”.

La sua morte è una prova della forza o della debolezza di Putin?

“Assolutamente una prova di debolezza. Così, lui pensa di dare l’idea di controllare ogni cosa, ma il livello della repressione degli oppositori elevato di giorno in giorno rivela il contrario ed è sintomo che la realtà, in Russia, è molto diversa da quanto riportato dalla propaganda”.

Ci sono state, infatti, indignazione e proteste dopo la morte di Navalny. Ora, cambierà qualcosa o prevarrà ancora la paura?

“Le proteste sono state più che altro simboliche, c’erano persone che portavano fiori che, però, dimostrano che in Russia sono molti a non essere d’accordo con quello che fa Putin. Anche se in un regime repressivo come quello russo, di fatto, le proteste non esistono. La gente ha paura di finire in carcere, dove il sistema detentivo è devastante sia durante la detenzione che dopo, se si riesce a uscire. Ma, esiste il dissenso e la missione di Navalny, e la nostra, è quella di preservare questo dissenso, convogliandolo in azioni d’impatto che ne siano la rappresentazione evidente, senza comportare un rischio concreto per le persone. L’ultima iniziativa politica lanciata da Navalny prima di morire – andare a votare a una specifica ora nel pomeriggio del 17 marzo come forma di opposizione a Putin – ne è un esempio. E credo che sia proprio questo il motivo per cui è stato ucciso”.

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