Cecchettin a Parma presenta Cara Giulia. “Ho provato odio e desiderio di vendetta, poi ho scelto il bene. Lei esempio che ha tolto dalla mia vita ogni sentimento di rabbia”

cecchettin a parma presenta cara giulia. “ho provato odio e desiderio di vendetta, poi ho scelto il bene. lei esempio che ha tolto dalla mia vita ogni sentimento di rabbia”

2024.04.17 0399

Due modi ci sono per non soffrire di ciò che è inferno, come ha scritto Calvino: accettare l’inferno e diventarne parte oppure imparare a riconoscere “chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Queste parole bene traducono la scelta fatta da Gino Cecchettin di fronte al baratro di un inferno in cui sembra tacere ogni traccia di luce, il baratro che si apre con la morte violenta della propria figlia. Di fronte a questo, Cecchettin ha scelto di dare spazio al bene, lasciandosi guidare dal ricordo di Giulia.

Una testimonianza di radicale umanità quella trasmessa al folto pubblico che ha riempito mercoledì pomeriggio l’auditorium dell’istituto Bodoni, la testimonianza di un padre che, a partire da una terribile tragedia, “ha saputo trasformare in valore e in apertura verso l’altro ciò che poteva chiudersi nel più cupo dolore”, ha osservato il sindaco Michele Guerra in apertura dell’incontro, ringraziando per la sua presenza a Parma il padre di Giulia, giovane studentessa universitaria vittima di femminicidio la cui uccisione ha suscitato nell’intero Paese una larga reazione fatta non solo di dolore ma anche della volontà di costruire una società il più possibile libera dalla violenza di genere.

Anche Parma ha reagito in modo forte quando, lo scorso 25 novembre, “migliaia di persone hanno deciso di accompagnare con la loro presenza una manifestazione che assumeva un significato particolare perché il nome di Giulia echeggiava in mezzo a quei passaggi e portava una coscienza ancora più forte di quella che negli anni precedenti aveva accompagnato quel momento”, ha ricordato il primo cittadino.

Gratitudine viene espressa dal sindaco al padre di Giulia “per il coraggio con cui ha saputo caricarsi sulle spalle una responsabilità che diventa pubblica”. L’impegno è quello di “continuare a lavorare sui temi della formazione e per un costante monitoraggio dell’asticella rispetto alle questioni di genere ma – osserva Guerra – abbiamo anche bisogno di esempi e di testimoni come Gino Cecchettin”.

Prima di lasciare la parola al padre di Giulia, che ha dialogato con la giornalista Giovanna Pavesi, l’assessora alle Pari opportunità Caterina Bonetti ha esortato i tanti ragazzi e ragazze presenti a parlare, a “non restare in silenzio neppure di fronte ai più piccoli segnali di violenza, pretendendo dagli adulti ascolto e supporto per scongiurare altre tragedie”.

Alle spalle del palco campeggia il volto intelligente e buono di Giulia, il suo sorriso che tutti hanno negli occhi. Ventidue anni, prossima al traguardo della laurea in Ingegneria biomedica, Giulia è uscita di casa un sabato pomeriggio e non è più tornata, inghiottita da una morte assurda.

Ma chi era Giulia, prima della drammatica cronaca della sua fine? “Ho sempre detto, quando lei non mi poteva sentire, che Giulia era una figlia perfetta: fin da bambina ha sempre cercato di aiutare gli altri, prima i familiari e poi, crescendo, anche le persone che non conosceva”. Tra i tanti ricordi, un episodi dice molto di Giulia: “In quarta superiore, al liceo classico, una sua professoressa le chiese aiuto per sostenere una ragazza più giovane che soffriva di anoressia e non aveva amici. Alla fine dell’anno la docente ci ha telefonato: Giulia era riuscita a fare rinascere l’entusiasmo in quella ragazza, diventando la sua prima amica. Ora quella ragazza sta bene: questo è stato uno dei doni speciali di Giulia”.

Parole semplici che arrivano spoglie di enfasi ma vibranti nel ricordo, cesellando il ritratto di una ragazza “riservata, buona, una ragazza pura che contagiava con il suo entusiasmo e sapeva essere anche una sagoma, appassionata di lettura e di disegno”. Una ragazza il cui volto è fiorito sui muri di tante città, anche di Parma, dove sorride nel cuore dell’Oltretorrente. “Vedere mia figlia in ogni dove all’inizio è stato molto difficile perché, proprio nel momento in cui la vedevo ovunque, iniziavo a capire che non l’avrei mai più rivista”.

Di fronte alla tragedia di una morte violenta che fa irruzione in un contesto sereno, all’interno del quale “ci sentivamo immuni da fatti simili, sia nella nostra famiglia sia in quella di Filippo”, se all’inizio, come racconta Cecchettin, “non vi nascondo che ho provato odio e desiderio di vendetta, poi però ho scelto di concentrarmi sul bene”.

La bussola interiore per rivolgersi al bene è proprio Giulia, il suo sguardo di ridente mezzaluna diventa polo regolativo per ogni scelta: “Concentrarmi sul bene è stato facile, nel mio caso: mi è bastato prendere lei, da quel momento in avanti, come esempio per tutte le mie azioni, togliendo dalla mia vita ogni sentimento di rabbia”.

Sarebbe stato più semplice, forse, osserva Cecchettin, chiudersi in un dolore privato, un dolore non condivisibile neppure con la propria moglie, venuta a mancare un anno prima della morte di Giulia ma “vedendo le tante manifestazioni che si sono accese in tutte le città di Italia, ho capito che la nostra Giulia era diventata la Giulia di tutti. In questo ho visto un valore: Giulia stava dando un contributo alla lotta contro la violenza di genere. E ho voluto dare anche io un contributo in questa battaglia”.

Il libro Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia (Rizzoli) è un appello potente alle famiglie, agli insegnanti e alle istituzioni, un appello capace di fare rumore seguendo il messaggio di Elena, sorella di Giulia, che in un post su Instagram, dopo la tragica scoperta, ha rotto il silenzio denunciato come l’omicida non fosse un mostro ma “un figlio del patriarcato”. Parole con le quali Elena, come ha osservato Pavesi, “ha infranto il tabù di un dolore che, per essere valido, deve essere silenzioso”.

Un padre che impara dalle proprie figlie, dal loro dialogo poi brutalmente spezzato, ma che di quel dialogo conserva in mano saldamente un filo della memoria tessendolo in racconto, in una rete di senso che permette di stare sull’abisso: “Il libro è un memoriale per una ragazza fantastica, un dono per Giulia, un modo di reagire impegnandomi in qualcosa di più alto. Così come in suo nome vorrei fare nascere una fondazione che aiuti le donne vittime di violenza”.

“Ho imparato molto da Elena e da Giulia perché in famiglia abbiamo sempre dialogato. Quando c’è stato il famoso post Instagram di Elena che parlava di patriarcato, conoscevo la parola ma non il suo senso sociologico. All’inizio non capivo: per me era stato un omicidio d’amore, di gelosia. Allora ho chiesto a Elena e mi ha spiegato perché avesse parlato di patriarcato in relazione all’omicidio di Giulia: ora so che se dici a tua figlia cosa deve studiare, è patriarcato, se dici alla tua ragazza che quella sera non può uscire con le amiche, è patriarcato. Se una persona ti dice ‘non ti amo più’ vuol dire che non ti ama più e devi saper accettare quel rifiuto. Come genitori vorremmo dare tutto ai nostri figli ma a volte bisogna insegnare il valore di un no, che è un valore educativo”.

Guardando al quello che ciascuno può fare, “credo che sia importante allargare sempre il canale di comunicazione tra genitori e figli e poi stare attenti al linguaggio, facendo caso – soprattutto noi maschi – a quando sforiamo in una parola o in gesto, senza timore magari di riprendere un collega se ha atteggiamenti scorretti verso una donna”, osserva Cecchettin.

Sfogliando il libro, lettera d’amore di un padre a sua figlia, spiccano due disegni fatti da Giulia: “L’estate scorsa arrivando in punta di piedi, Giulia mi disse che avrebbe voluto frequentare la scuola di Comics di Reggio Emilia. Lei sapeva quanto io, ingegnere mancato, ci tenessi alla sua laurea in ingegneria. – Papà, ti chiedo una cosa: finisco l’università però poi vorrei fare la scuola di fumetto -, mi ha detto, titubante”. Giulia sognava di diventare illustratrice di libri per l’infanzia ed era stata presa nella prestigiosa scuola emiliana a cui potevano accedere solo 15 tra i tanti candidati che presentano domanda.

“Le risposi di sì, che doveva andare e cercare di diventare la più brava illustratrice d’Italia. Ricordo la sua felicità, il suo abbraccio”. Anche a questo snodo, una ferita si è fatta feritoia attraverso cui filtra una luce: “Se non avessi vissuto un anno prima il dolore della perdita di mia moglie, forse avrei risposto diversamente. Ma avevo capito, a caro prezzo, quanto la vita in fondo sia breve e che occorre viverla seguendo i propri desideri, senza sprecarla nel tentativo di compiacere gli altri”.

Un dolore da cui si impara, una passione che si fa passaggio e transito verso gli altri, apertura. Come aperta è rimasta la porta della camera di Giulia: “Dalle piccole cose ti rendi conto che in casa due persone mancano, dal numero di tovagliette per la colazione al numero di lavatrici fino al conto della spesa. Ogni volta che sento l’assenza di Giulia e di mia moglie, è una ferita al cuore. La stanza di Giulia è il suo mondo: lasciare la porta aperta significa mantenere la connessione con lei. La porta aperta significa anche aprirsi al futuro e mantenere la speranza: ho perso una figlia e mia moglie ma raccolgo le forze per gli altri miei due figli e per me stesso e non disdegno ciò che può rendermi felice perché quello mi rende anche forte”.

Molti e prolungati applausi accompagnano il gesto, condiviso da tutti, di alzarsi in piedi di fronte alla testimonianza, umile e nello stesso tempo molto alta, di un padre e delle sue parole d’amore per una figlia. Parole che si aprono a una speranza di felicità nella quale occorre comunque continuare a credere consapevoli che, come riporta Cecchettin in apertura della sua bellissima lettera, “le persone più felici non sono necessariamente quelle che hanno il meglio di tutto ma quelle che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…”

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