Paga milanese, casa al Sud: la multinazionale dello smart working senza limiti. “Così troviamo personale pescando in tutta Italia”
Milano – Uno dei vantaggi, per le aziende milanesi, è quello di allargare la ricerca di personale qualificato a tutta Italia andando oltre il classico asse delle università Milano-Torino, attirare e trattenere risorse. Per i dipendenti, invece, è una soluzione che permette di evitare il trasferimento a Milano, rimanendo a vivere nelle regioni d’origine senza dover far fronte a un costo della vita e della casa a livelli record.
Stipendi generati al Nord che finiscono per portare benefici al tessuto economico del Sud, con ricadute positive per territori che scontano una costante fuga di manodopera qualificata e di laureati. Un modello di smart working totale che sta prendendo sempre più piede per attività, come quelle di consulenza in campo ingegneristico, che possono essere svolte anche in co-working dall’altra parte della penisola o in stanze della casa allestite come uffici. Sul fronte opposto, invece, ci sono imprese che dopo il lavoro da remoto obbligato dalla pandemia sono tornate ad attività totalmente in presenza. La via di mezzo è un modello misto casa-ufficio, mentre il tema è tornato al centro del dibattito politico con la proposta di promuovere il lavoro da casa come misura anti-smog, per ridurre traffico e inquinamento in città.
“Non esiste un modello giusto o sbagliato ma deve essere calato sulla realtà della singola azienda”, spiega il giuslavorista e professore della Bocconi Maurizio Del Conte, “padre“ della legge sullo smart working. “Imporlo con le stesse modalità per tutti è sbagliato – prosegue – così come sarebbe sbagliato un ulteriore appesantimento normativo. Si sta raggiungendo un equilibrio, e le aziende più mature stanno dimostrando di saper usare con intelligenza questa forma di organizzazione del lavoro. Il ritorno al passato, invece, è spesso dovuto al fatto che lo smart working ha dimostrato di non essere funzionale su quella singola realtà. Di sicuro, in generale, il ricorso a questo modello è destinato a crescere, raggiungendo modalità sempre più mature”.
Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, nelle grandi imprese oltre la metà dei dipendenti beneficia, con diverse gradazioni, dello smart working. A guadagnarci è anche l’ambiente: due giorni a settimana di lavoro da remoto evitano l’emissione di 480 chilogrammi di Co2 all’anno a persona. E, in questo panorama variegato, c’è chi applica lo smart working totale. Tra le esperienze più avanzate c’è quella della multinazionale canadese Stantec, colosso della consulenza e progettazione ingegneristica e architettonica in settori come ambiente, infrastrutture, energia ed edilizia. Il quartier generale italiano si trova nel Centro direzionale Milano 2 a Segrate, ma una fetta dei dipendenti lavora fuori dalla Lombardia, spostandosi verso Nord solo quando è necessario, per incontri in presenza o sopralluoghi. Su 170 dipendenti, una ventina ha scelto volontariamente di organizzare le sue attività totalmente da casa. Sono assunti a Milano ma vivono in Calabria, in Puglia o in Sicilia, vicino alle loro famiglie. “Questo ci consente di attirare candidati guardando alle università di tutta Italia – spiega Michela Martinengo, responsabile risorse umane di Stantec – e inserire nel nostro team persone qualificate che però, anche per ragioni legate al costo della vita o di gestione della famiglia, preferiscono evitare un trasferimento a Milano”.
Un modello avviato come sperimentazione prima della pandemia che ora è divenuto strutturale, grazie ai riscontri positivi in un settore dove le aziende si contendono professionisti con alte competenze. Un settore dove si lavora già per obiettivi, con orari flessibili e senza il classico cartellino da timbrare. “La criticità è la mancanza di un contatto diretto con i colleghi – spiega Martinengo – e per questo organizziamo anche incontri fisici periodici e attività in presenza, per consolidare rapporti che altrimenti sono solo a distanza”.
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