Confini «bucati», oppio e Isis: perché il terreno di guerra torna ad essere il Belucistan
Deserti infuocati, nevi perenni, terremoti eterni. Perché il Belucistan? Quello iraniano è dove s’impicca più gente. Quello pachistano è dove si fanno i test atomici. «Il posto — dicono di qua e di là — in cui Dio ha gettato tutta la spazzatura del creato».
Una discarica di 15 milioni di beluci, tanto divisi quanto invisi sia all’Iran che al Pakistan. Una pattumiera grande come la Francia e ricca d’oro, di gas, di rame, eppure poverissima. Una cloaca che vede il mare e perciò — snodo della Via della Seta — fa gola ai cinesi. Una scoria della storia che s’è di colpo infiammata, nel grande falò del Medio oriente: martedì con un attacco iraniano al Belucistan pachistano, due morti; ieri con un bombardamento pachistano al Belucistan iraniano, nove uccisi. Un incendio pericoloso che Pechino e Mosca, Ue e Usa cercano subito di spegnere: «Non tollereremo un’escalation», avverte la Casa Bianca. Anche se lo scontro, commenta il presidente americano Joe Biden, «dimostra come l’Iran non sia molto amato in quell’area».
È una guerriglia antica. A bassissima tensione. Che dura da 75 anni e ha fatto almeno 27mila morti. «Baluch Watan», la nazione beluca, si proclama indipendente da chiunque. Schiacciata fin dai tempi dello Scià, in rivolta dalla nascita del Pakistan.
Ma perché gli ayatollah hanno attaccato proprio adesso? Poche ore prima dell’operazione militare, a Davos, iraniani e pakistani s’erano stretti la mano… E perché i generali d’Islamabad hanno reagito in quel modo? Con gl’iraniani han sempre spartito un poroso confine di 900 km, che lasciava passare oppio e terroristi… I fatti ci dicono che l’Iran sciita ha colpito le basi dei beluci in Pakistan, a Panjgur: gruppi sunniti che combattono per l’indipendenza da Teheran e si raggruppano sotto le bandiere dell’esercito Jaa (Jaysh al-Adl).
Questo Jaa nasce da una costola di Al Qaeda, in passato tentò d’assassinare il presidente iraniano Ahmadinejad ed è sulla lista Usa del terrorismo. Sull’altro fronte, non è la prima volta che Islamabad arriva ai ferri corti col vicino per la questione beluca, ma così mai: due giorni dopo, sono stati colpiti in Iran i separatisti del Fronte di liberazione del Belucistan, una sigla non religiosa che sta a Saravan, usa i kamikaze, attacca spesso i cantieri delle aziende cinesi e solo nel 2023, in Pakistan, ha fatto 260 attentati e 240 vittime.
Fin qui i fatti. All’Iran non sfugge che i separatisti del Blf hanno avuto un governo in esilio a Gerusalemme, sono appoggiati da Israele e vengono finanziati da società no-profit negli Usa. Non solo: un mese fa, a Washington, il potente generale pachistano Asim Munir ha incontrato il segretario americano Anthony Blinken — un avvicinamento agli Usa — e la visita è stata commentata in modo duro dai media iraniani. Senza contare che sono entrati dal Pakistan, a inizio anno, i kamikaze «dell’Isis» che han fatto 90 morti in Iran. E dunque: l’attacco improvviso a Islamabad e al Blf è un segnale antiamericano e antisraeliano colpendo il Pakistan in un momento di grande debolezza? Si vota l’8 febbraio e i militari d’Islamabad vi arrivano con un basso tasso di popolarità per aver imprigionato il popolarissimo ex premier Imran Khan, nel mezzo d’una crisi che ha svalutato la rupia del 40%. Questo nuovo focolaio a spese dei beluci fa comodo a tutt’e due i regimi. Agli ayatollah, che dimostrano di reagire senza colpire Israele. E ai pachistani, che ricompattano la loro opinione pubblica: c’è di meglio che trovarsi un nuovo nemico?
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