(Afp)
Non ne fa un dramma, Anastasia, non vuole guastarsi la giornata quando passa con la medaglia d’argento al collo conquistata nei 400 misti, la prima di Israele in un campionato del mondo. Vorrebbe parlare di quella, è naturale, ma non si sottrae quando l’argomento vira sui buu decisi, convinti, sostenuti, di tutta la piscina di Doha verso di lei.
«Sono qui per fare quello che amo, quello che mi viene meglio — dice allargando le braccia —, ho il permesso di gareggiare con la bandiera del mio Paese, rappresento Israele in questi tempi difficili e ne sono orgogliosa. Se a qualcuno non piace, non ГѓВЁ un problema mio».
Succede mentre noi italiani siamo concentrati a festeggiare il bronzo di Sara Franceschi e l’intervistatore rivolge le domande di rito alle medagliate. Tutto bene quando parla con l’inglese Colbert, tutto male quando passa il microfono ad Anastasia Gorbenko. «All’inizio ero ancora choccata per la gara, in piscina c’era molto rumore, non capivo. Poi ho realizzato… Che devo dire? Non ha nulla a che fare con lo sport». Sara, che la conosce bene, realizza in fretta e va ad abbracciarla («È stato un momento tosto, non è giusto che un atleta soffra così. Lei voleva solo festeggiare un buon risultato»), e Anastasia apprezza: «È una buona amica, una persona splendida».
Era già successo in mattinata per la verità quando, prima delle batterie, una scolaresca le aveva rivolto dei buu e aveva gridato «Palestina, Palestina», mentre durante la cerimonia di premiazione a qualche fischio si sono mischiati anche applausi. Anastasia, 21 anni (già oro agli Europei di Budapest nei 200 misti), abita vicino ad Haifa, è stata a lungo negli Stati Uniti per allenarsi, «e sì vivo in Israele anche se in realtà sono sempre in giro per il mondo».
Della guerra non parla, ma la guerra non è dimenticabile: basta vedere le misure di sicurezza rafforzate che hanno accompagnato la delegazione israeliana. In gara qui a Doha c’erano anche tre nuotatori palestinesi, uno — Yazan Al Bawwab — ha sul petto la bandiera della Palestina: «Sono nato in Arabia Saudita, ho vissuto a Dubai, ho fatto l’università in Canada e mi sono trasferito nei Paesi Bassi — ha raccontato a SwimSwam —. Mio papà da rifugiato ha studiato a Genova. Eppure il mio Paese è la Palestina: è molto importante essere qui, per dimostrare al mondo che anche noi siamo umani. Voglio dare voce a chi non ce l’ha. Israele presente? Non ho problemi, quando gareggiamo siamo tutti uguali». Se solo lo sport servisse a renderlo vero.
LEGGI QUI tutti i risultati di domenica 18 febbraio ai Mondiali di nuoto
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