Da Berceto al Nicaragua, la vita in viaggio di Valentina Setti. Tre continenti, oltre cinque lingue e la voglia di mettersi in gioco e scoprire sempre nuove culture
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Servono radici profonde per spingersi lontano, per imparare a chiamare casa un angolo del Pianeta che prima non conoscevamo, molto diverso dal luogo da cui proveniamo.
Serve poi una grande curiosità, come quella che ha spinto Valentina Setti ormai vent’anni fa a lasciare Berceto, paese dell’Appennino parmense di cui è originaria, per intraprendere un viaggio che non si è ancora concluso.
Tra le tappe, prima il Galles - ancora da studentessa di lingue - e poi la Francia, il Portogallo, Malta, lo Sri Lanka e oggi, infine, il Nicaragua. “Ho lasciato Berceto a 18 anni: dai piccoli paesi si va via da casa presto”, ricorda Setti. “Se sei uno studente di lingue straniere, il motore che ti fa uscire dall’Italia è che le lingue le vuoi praticare”.
Finiti gli studi, ottiene un contratto a tempo a Efsa - “il mio primo lavoro in ambito internazionale”. Quel periodo le conferma che a guidare la sua strada saranno “la conoscenza di lingue e di popoli”, anche a costo di scontrarsi con esperienze non sempre idilliache, come un impiego in un call center in Portogallo.
Quasi due anni a Lisbona, in una città “dalla bellezza fulminante” ma con un lavoro che le sta stretto, fino a quando non arriva la grande occasione, “un lavoro d’oro”: “Ho vinto un concorso per l’Unione Europea, e sono andata a lavorare a Malta. È lì che ho conosciuto il mio attuale compagno, e papà delle mie figlie”.
“Lì ho iniziato a studiare anche l’arabo, perché il maltese è una lingua semitica: l’unica lingua semitica che si parla in Unione Europea; è una cosa interessantissima”, spiega con la voce ancora carica di entusiasmo. Eppure - dopo cinque anni di vita isolana, e il pensiero di star piantando nuove radici - un nuovo cambio di rotta sopraggiunge quando il compagno viene spedito dall’External Action Service dell’Unione Europea - che si occupa di rapporti diplomatici con i Paesi extra Ue - all’altro capo del mondo, in Sri Lanka. “Io l’ho raggiunto dopo, mi sono messa in aspettativa, e dopo un mese è arrivato il Covid”. La pandemia rimescola di nuovo le carte e ridisegna la quotidianità delle persone anche nell’isola ai piedi dell’India: “Siamo rimasti bloccati lì, tutto il Paese era chiuso, non si partiva e non si arrivava; c’era l’esercito in città. A quel punto sono rimasta incinta: un Covid baby”.
La prima figlia è nata a Colombo, nella capitale dello Sri Lanka. Anche la seconda figlia è nata in una capitale, ma di un altro Paese, in un diverso continente: “Pensavamo di rimanere quattro anni, invece, dopo cinque mesi che nostra figlia era nata, il mio compagno è stato mandato in Nicaragua”.
Per seguire la sua passione e continuare a viaggiare con la sua famiglia, decide di lasciare il lavoro all’Unione Europea e partire per l’America centrale: “Ho ricominciato da zero in Nicaragua, con un’altra bambina, un’altra gravidanza e mentre ero incinta ho ricominciato a studiare”. Oggi, a Managua, insegna italiano agli stranieri e collabora con le Nazioni Unite: “Avendo sempre studiato lingue credo di riuscire a mettermi bene nei panni degli studenti, a capire tutte le difficoltà che ci sono. In ogni Paese in cui ho vissuto ho imparato una lingua diversa: per me è una forma di rispetto, di apertura. Anche quando ero in Sri Lanka ho studiato cingalese: riuscivo a dire due cose, solo per rompere il ghiaccio, ma è sempre stato apprezzato dalle persone”.
Tra gli aspetti positivi della vita nicaraguense, la presenza di una natura incontaminata fatta di vulcani attivi, foreste vergini, spiagge deserte e coloratissimi uccelli tropicali; una natura “imponente, che quasi ti sovrasta, molto bella ma anche violenta”. Manca però la dimensione cittadina, il camminare per strada e fermarsi al bar per un caffè: “Uno stile di vita molto italiano, che si tende a dare per scontato anche se non lo è”.
Per scegliere una vita in movimento, si è detto, servono radici solide, profonde. E il supporto di qualcuno di caro: “Mio fratello e i miei genitori sono contentissimi: la prendono come un’occasione per viaggiare, si sono affezionati anche loro ai posti in cui sono stata. Anche per questo lo faccio a cuor leggero, non è solo bello per me, ma anche per loro”.
In questo momento Setti sta trascorrendo l’estate nella sua Berceto, dove torna ogni volta che ne ha occasione: “Sono molto radicata nel mio territorio, so che questo sembra paradossale. Qualunque cosa succeda, so che il mio posto qui ce l’ho”. Nonostante sia partita da anni, le è rimasto l’attaccamento alla montagna che sembra accomunare chiunque ci sia nato: “Mi rendo conto che una vita in Paesi lontani e così diversi tra loro sia di grande stimolo e fonte di ricchezza per le mie figlie, al contempo mi spaventa non dare a loro quello che ho avuto io: il senso di appartenenza a una comunità, a un territorio”.
La famiglia, infatti, è già pronta a ripartire: dopo il Nicaragua, li aspetta il prossimo anno una nuova destinazione. “Non credo che la mia esperienza sia particolarmente straordinaria, oggi viaggiare, e anche trasferirsi, è piuttosto facile. Credo che siano molto più straordinarie le persone che scelgono di restare”. Il racconto di Valentina Setti si conclude con una battuta che ben riassume il suo percorso: “La lingua più bella di tutte è il dialetto bercetese: se ci fosse un corso, sarei la prima a iscrivermi”.