Maturità, le studentesse ribelli e i dubbi sugli errori nella versione di greco: Aristotele definito “precettore” e non “scienziato”, un “che” al posto di “poiché”
Maturità, le studentesse ribelli e i dubbi sugli errori nella versione di greco: Aristotele definito “precettore” e non “scienziato”, un “che” al posto di “poiché”
È un interessante spaccato dell’universo famiglia/scuola, complesso - e a volte complicato - quello che si delinea nella vicenda della clamorosa proteste delle tre studentesse del liceo Foscarini. Una vicenda in cui a oggi l’unica verità ufficiale è quella delle ragazze, che per protesta contro i voti troppo bassi al compito di greco, hanno deciso di non farsi interrogare all’orale, ma di leggere una loro lettera a metà tra la difesa del proprio impegno e l’invettiva contro i prof («questo non è il nostro fallimento, ma il vostro», ha scritto e letto una di loro). Comunque la si voglia giudicare, a oggi manca la versione della scuola.
Professori, preside, ufficio scolastico. Una versione ufficiale, chiaramente, anche se comunque qualcosa, dalle mura del Foscarini, comunque trapela. La commissione d’esame della 3.A (la classe in questione) ha presentato, come prassi, una relazione con verbale all’Ufficio scolastico. Va da sè che la posizione è quella di difesa dell’autonomia dei giudizi e della legittimità dei medesimi. Ma ciò non esclude che l’Ufficio scolastico non invii comunque un’ispezione. Per ora, se ispettori ci saranno, rientrano nella normale attività ispettiva che viene attivata dall’Ufficio regionale per tutti gli istituti.
Il retroscena
Le insufficienze sono state date perché i compiti sono stati valutati tali dalla commissaria esterna (la professoressa Carmelità Pettenà del liceo Franchetti di Mestre), con l’avallo del commissario interno, il professor Francesco Chiaro, che insegna latino e che durante l’anno non è stato il docente di greco della classe. Il voto, insomma, è sì collegiale, ma è logico che la commissaria esterna è colei che più di tutti ha il “potere” di giudizio. Verità parziale dunque? Ora, rispetto ai giorni precedenti l’orale, ci sono dati in più. E i numeri dicono che nella 3 A ci sono stati voti più bassi che nella 3.B.
I voti
In media la 3.A è stata valutata in greco scritto con 3 crediti in meno rispetto alla III B (9/20 contro 12/20, media di insufficienza nel primo caso, sufficiente nel secondo). E allo scrutino finale gli studenti e le studentesse della 3.A hanno avuto un solo voto sopra il 90/100; quel cento di una ragazza che si è giocata la lode perché nel compito di greco incriminato ha preso 19 anziché 20. Un punto che la ha precluso il percorso netto, visto che funziona così: ogni studente viene presentato all’esame con un voto che può arrivare al massimo a 40, a cui poi si aggiungono quelli dello scritto e dei due orali, che valgono un massimo di 20 per ciascuna prova. A cui si aggiungono punti da assegnare a discrezione della commissione. E qui, il giorno dopo i voti, entrano in gioco le famiglie. «Nella nostra classe - dice Deborah, mamma di Virginia (una delle tre ragazze “ribelli”, che in greco scritto ha preso 7/20) - c’erano vari potenziali 90. Mia figlia era stata presentata con 37; avesse fatto due buoni scritti e un buon orale, poteva arrivare massimo a 97. Idem le altre due ragazze, Linda e Lucrezia. Nella prova alla versione di greco aveva preso 8 e come media dell’anno, in quella materia, aveva 7.8. Alla prova scritta ha preso 7/20, praticamente un 3 e mezzo. Un tracollo? Ci può stare, ma vedendo gli altri voti mi viene da pensare».
I dubbi
Le mamme delle tre studentesse hanno qualche dubbio che vorrebbero fugare: perché nella 3.A sono stati dati in greco voti così bassi anche a studentesse che avevano avuto nel corso del triennio medie molto alte in greco? Eccessiva severità della commissaria esterna che ha messo in luce una preparazione carente? Le mamme lo escludono. Tutte parlano di un’ottima preparazione da parte della professoressa del triennio e di “studio matto e riservatissimo” da parte delle ragazze, convinte (e quasi entusiaste) di fare un esame d’eccellenza. Oppure possono aver influito antiche ruggini tra la professoressa Pettenà e il professor Chiaro (che, sottolinea una mamma, non era presente allo scritto)?
Altro dubbio: dopo l’uscita del “caso”, all’orale la commissione è stata più morbida per non dar corpo ai sospetti di “accanimento” verso la 3.A. «Certo – dice la mamma di Linda (13/20 allo scritto) - viene da pensare. Perché, ad esempio, la studentessa uscita con 100, meritava non una, ma 6 lodi per il suo impegno e la preparazione. Le hanno dato 19 allo scritto e si è giocata la lode. E questo si aggiunge al fatto che non sappiamo quali errori hanno fatto le ragazze da meritare voti bassi».
Gli errori
La partita per ora in effetti è un “poker” alla cieca. Ma le famiglie vogliono andare al “vedo” e presenteranno un accesso agli atti per capire le motivazioni di quei giudizi. Qualche “errore” però lo hanno già scoperto. «L’unico errore accertato di mia figlia, è una subordinata a cui ha dato un valore sbagliato», dice la mamma di Linda, docente di greco a sua volta. «Per il resto si tratta di errori di interpretazione, come un participio tradotto con “avente un bastone” anziché “con un bastone”: ma, anche se in italiano suona male, uno studente è portato a tradurre un participio greco con un participio italiano, perché se non lo fa rischia un errore maggiore, cioè quello di lasciare intendere di non aver colto il participio».
«Anche altri errori segnati - dice la mamma di Virginia - sono stati di interpretazione. Ma il greco ha questo “rischio”. Ad esempio ГЁ stato segnato errore un “in questa parte” corretto con “in questo passo”, o ancora la definizione di Aristotele come precettore, anzichГ© “scienziato” come ha corretto la professoressa (se posso permettermi, qualche secolo prima di Galileo...)Р’В».
La mamma di Lucrezia aggiunge un dettaglio in più, confermato anche dalla mamma di Virginia: «All’orale mia figlia ha chiesto di vedere il compito per capire gli errori. Ha visto un sacco di segni rossi e si è preoccupata. L’unico errore era un “poiché” tradotto invece di un “che”. Inoltre aveva anche sbagliato a tradurre una terza persona singolare: infatti l’aveva interpretata come impersonale, traducendola quindi come “si dice” al posto di “dice” il resto della frase però era corretta. C’erano poi altri errori ma non le sembravano gravissimi... Ccomunque faremo vedere la traduzione a un professionista».
E gli altri segni rossi? «La professoressa Pettenà - spiega la mamma di Lucrezia - le ha risposto che è un suo “vezzo” sottolineare con il rosso anche parti corrette. Ma si tratta comunque di un atto ufficiale, è possibile? Anche per questo chiediamo l’acceso agli atti. Io so che mia figlia, le nostre figlie, pensavano di uscire con un bel voto. Con il loro gesto hanno rappresentato il disagio della classe, anche di chi le appoggiava ma non poteva permettersi di non farsi interrogare. Non ce l’ha con la professoressa Pettenà, non si permetterebbe mai di giudicarne i metodi o l’insegnamento. Contesta solo i criteri di valutazione, che hanno vanificato una carriera scolastica ma, fortunatamente, non la carriera futura: si iscriverà a ingegneria biomedica e si porterà questa esperienza come bagaglio».