Giorgia Meloni ha scelto l’alleanza con i perdenti

giorgia meloni ha scelto l’alleanza con i perdenti

Giorgia Meloni ha scelto l’alleanza con i perdenti

Non è del tutto chiaro quale sia il piano tattico di Giorgia Meloni ne «La hora de la verdad» rappresentata dalla riunione del Consiglio europeo di ieri e da quella di oggi.

Una caduta di stile

L’invettiva pronunciata ieri l’altro, soprattutto nella replica del suo discorso in parlamento, ha rappresentato una imprevista caduta di stile rispetto alla Meloni leader europea ragionevole e pragmatica che abbiamo visto dall’ottobre 2022 a mercoledì scorso. E denota un errore di valutazione del suo successo nelle elezioni europee italiane, che va condiviso con il successo di Elly Schlein (che ha reso il Pd la più numerosa componente del gruppo socialista e democratico nel Parlamento europeo).

Una campagna europea condotta con lo slogan (velleitario e chiaramente irrealistico) «cambieremo l’Europa» ha dato una risposta numericamente positiva ma qualitativamente incerta, visto che i voti giunti a Fratelli d’Italia sono stati voti di consenso nei confronti della leader-premier anche per il ragionevole, corretto ed efficace comportamento tenuto in sede comunitaria, compreso l’appoggio a Ursula von der Leyen espressione di una coalizione che, non avendo perso le elezioni, avendo anzi registrato il successo della sua principale componente, il Partito popolare, s’è riproposta tal quale nella nuova legislatura.

Del resto, Meloni non poteva non sapere bene, come noi lo sapevamo da tempo, cioè da prima che iniziasse la campagna elettorale, che tutti i sondaggi davano un risultato quale poi s’è verificato, a dispetto del ridimensionamento dei macroniani. E quindi avrebbe dovuto apprestarsi a riproporre l’atteggiamento già collaudato con successo negli scorsi mesi.

La debolezza in parlamento

E va considerato che discorso e replica di mercoledì, con relativa ostensione di nervosismo e di impolitica astiosità sono manifestazioni di una debolezza che sarà stata colta a Roma e nelle varie capitali europee. Disdicevole debolezza della premier italiana cui spetterebbero ancora quasi 3 anni di legislatura.

Questa improvvisa alzata di scudi (e di armi verbali) può essere solo figlia di una delusione, figlia a sua volta di un plateale errore di calcolo. Fra l’altro, a oggi sono solo 3 (Italia, Ungheria e Slovacchia) i paesi che, tramite i loro governi, non hanno aderito alla maggioranza prospettata con le principali nomine già indicate, e si contrappongono a Stati che rappresentano oltre l’80% della popolazione dell’Unione.

Fra l’altro, Meloni ha indebolito se stessa mostrando permalosità al posto di una consapevole certezza del buon diritto non di Fratelli d’Italia o dei conservatori europei, ma dell’Italia a partecipare a pieno titolo alla prossima gestione comunitaria contribuendo alla politica che la nuova Commissione esprimerà. Ci sono in gioco troppe questioni cruciali anche per l’Italia e troppi rischi nel persistere nell’alleanza dei perdenti quale sarebbe quella manifestatasi mercoledì tra Italia, Ungheria e Slovacchia innaturale per la coesistenza dell’Italia filo-Nato e filo-Ucraina con due nazioni filo-Putin e contrarie alle politiche internazionali dell’Unione che sono il reale e irrinunciabile collante politico della passata e della prossima legislatura.

E c’è poco da alzare la voce, visti i rischi che un isolamento rispetto al «main stream» farebbe correre al paese, il più indebitato d’Europa e il più bisognoso di una politica europea che favorisca il risanamento e la ripresa di un accelerato sviluppo. Per non parlare della produttività, tema che sembra estraneo alla sensibilità di questo governo e in particolare del suo ministro delle imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.

La conseguenze dell’isolamento

E tornando all’isolamento, ove esso fosse confermato e desse il via a una contestazione italiana della prossima Commissione, se ne dovranno registrare le conseguenze, soprattutto in relazione al nostro debito pubblico e al suo finanziamento sui mercati internazionali. Nel giudizio complessivo che le opinioni pubbliche coinvolte daranno non ha senso prendersela con i «caminetti» tra popolari, socialdemocratici e liberali. Anzi prendersela rende plateale un’esclusione fisiologica, visto che questi tre partiti dispongono di un’abbondante maggioranza e non hanno alcun bisogno di un allargamento parlamentare ai conservatori, indefettibilmente ostili ai socialdemocratici. L’Unione europea è un miracolo funzionale di equilibrio tra tre soggetti: il parlamento, la Commissione, gli Stati. E questo miracolo in linea teorica e in linea pratica può perpetuarsi anche nella prossima legislatura, rendendo l’Italia partecipe e, possibilmente, protagonista alla imprescindibile condizione che la sua premier torni a mostrarsi pragmatica e duttile come fatto sino a ieri. Ne va dell’Italia non di Fratelli d’Italia o dei conservatori europei.

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