Fondi europei: crescono i timori per la tendenza ad accentrare la gestione

fondi europei: crescono i timori per la tendenza ad accentrare la gestione

Fondi europei: crescono i timori per la tendenza ad accentrare la gestione

«Ricerca e innovazione sono la prioritГ  per lo sviluppo economico e sociale dellРІР‚в„ўUnione europeaР’В». Parole su cui concordato tutti i livelli istituzionali, dallРІР‚в„ўassessore locale al deputato del Parlamento Ue, riuniti a discutere in occasione di R2B, il Salone internazionale della ricerca e delle competenze per lРІР‚в„ўinnovazione, che si ГЁ svolto lo scorso 26 e 27 giugno a Bologna. La discussione perГІ si accende quando dalle parole si deve passare ai fatti, ossia a scegliere la governance e gli strumenti piР“в„– efficaci per gestire le risorse comunitarie, in particolare i tradizionali fondi strutturali della politica di coesione. I dati raccontano infatti che sono stati fatti pochi passi avanti fatti nellРІР‚в„ўallineamento del benessere tra regioni, europee ed italiane, e allРІР‚в„ўinterno dei territori, nonostante i 10 miliardi di euro stanziati ogni anno nel nostro Paese (per il ciclo 2021-2027 lРІР‚в„ўItalia dispone di 75 miliardi di euro per le politiche di coesione, tra fondi Ue e cofinanziamento, nellРІР‚в„ўambito dellРІР‚в„ўAccordo di partenariato, su 530 miliardi di euro complessivi per i 27 Paesi).

Le regioni, soprattutto quelle più virtuose come l’Emilia-Romagna, sono preoccupate dalla decisione del Governo Meloni di riaccentrare a Roma la politica di coesione, approvata con il decreto del 30 aprile scorso. «In realtà diversi studi dimostrano che non esiste un modello di governance che dia risultati migliori di altri - assicura Andrea Conte, coordinatore del team di Analisi economica territoriale Tedam di JRS-Joint Research Centre - e la capacità di spesa e di raggiungimento degli obiettivi varia molto sui diversi temi e nelle diverse aree geografiche senza una correlazione lineare» spiega Conte del Centro comune di ricerca della Commissione europea, di fatto la più grande direzione generale con oltre 3mila ricercatori e sette istituti di ricerca in cinque Stati membri (in Italia è a Ispra), nato sulle ceneri di Euratom, che oggi svolge un servizio di supporto scientifico e di analisi di impatto delle politiche europee.

Conte è intervenuto in occasione della tavola rotonda di apertura della19esima edizione di R2B a Bologna - evento organizzato da Regione Emilia-Romagna, Art-ER e BolognaFiere, un unicum nel panorama nazionale - dedicata a “Il futuro delle politiche nazionali ed europee su ricerca e innovazione”. In una fase di revisione e ripensamento della programmazione comunitaria 2021-2027, oggi a metà mandato, a finire sotto accusa sono prevalentemente le politiche di coesione, «cui però è destinato appena il 5% del budget comunitario finalizzato a ricerca e innovazione», è la riflessione di Conte. Come a dire che non sarà la centralizzazione delle politiche di coesione in capo al Governo, sulla falsariga di Next Generation EU, a migliorare i risultati. «La politica di coesione va difesa per il suo ruolo di inclusività e per la capacità di declinare gli interventi sulle specifiche caratteristiche ed esigenze dei territori», aggiunge il responsabile JRC, soprattutto in vista del cambio di orientamento tematico post-2027: le parole chiave saranno trend demografico, rischio climatico, tecnologie orizzontali distruttive come l’AI, difesa. Uno scenario lontanissimo da quello pre-Covid che vedeva il bilancio europeo suddiviso per un terzo sull’agricoltura, un altro terzo sulle politiche di coesione e l’ultimo terzo sul resto.

«Senza politiche nazionali ed europee efficaci e integrate su ricerca e innovazione non ci sarГ  futuro. Lo ha detto Mario Draghi pochi giorni fa in Spagna, lo aveva giГ  evidenziato Enrico Letta nel report sul mercato unico: la bassa crescita economica europea rispetto agli Usa ГЁ legata soprattutto alla bassa produttivitГ  nei settori hi-tech e a investimenti in R&S che in Europa sono la metГ  di quelli americaniР’В», ha sottolinea Francesco De Santis, vicepresidente Confindustria per la Ricerca e lo sviluppo. A paritГ  di valore aggiunto, infatti, gli Stati Uniti doppiano lРІР‚в„ўUe per finanziamenti in R&S e lРІР‚в„ўItalia, a sua volta, ГЁ a metГ  dellРІР‚в„ўobiettivo del 3% del Pil investito in ricerca fissato da Bruxelles. Р’В«LРІР‚в„ўUe – rimarca De Santis - deve costruire una nuova strategia che sostenga tanto la ricerca di base, per spingere innovazioni disruptive, quanto la ricerca applicata. _E deve coinvolgere le imprese nella definizione e nell’attuazione delle politiche, perchГ© la ricerca ha senso quando si traduce in valore aggiuntoВ».

Lo strumento-monstre keynesiano del Next generation EU con i suoi 800 miliardi di euro per reagire alla pandemia, tra Recovery Fund (Pnrr in Italia) e React Ue ha in realtà seguito gli stessi criteri di ripartizione delle politiche di coesione - a conferma della validità delle stesse - pur restando in capo ai Governi centrali, raddoppiando le dotazioni per transizione verde, digitale, occupazione e inclusione. Si tratta però di risorse a debito, a differenza dei fondi di coesione e di Horizon (tuttora lo strumento più importante per la ricerca e innovazione, 95,5 miliardi di euro nel settennato) e di una misura emergenziale che pone a tutti gli esperti diversi interrogativi sul poi: che cosa resterà dopo il 2026 di questa ubriacatura senza precedenti di risorse in termini di ricerche avviate e di ricercatori assunti? Quanto si accentueranno le disparità geografiche se gli investimenti innovativi non avranno creato ricchezza aggiuntiva sufficiente da ripagare l’extra debito?

Una best practice del Pnrr è sicuramente rappresentata dai dottorati, che hanno dimostrato la potenza della collaborazione pubblico-privato: si è passati da poche centinaia a migliaia di giovani ricercatori univeritari impegnati in ricerca applicata nelle aziende. «In Italia siamo vicini al traguardo dei 6mila ricercatori innovativi previsti dal Pnrr, significa 6mila progetti congiunti e 6mila giovani alfieri del sistema di ricerca pubblico-privato», sottolinea il vicepresidente di Confindustria De Santis. Il punto ora è capire se e come le imprese italiane riusciranno a trattenere questi 6mila cervelli, una volta esaurite le risorse del Next Generation Eu, garantendo lavori e retribuzioni all’altezza delle loro aspettative (e risolvendo così almeno in parte il grave gap di alte competenze nel tessuto produttivo). Domanda alla quale né accademici né imprenditori oggi sanno rispondere. Quel che danno tutti per certo è che la concorrenza tra regioni, settori e tra attori negli stessi territori e sugli stessi filoni tematici tornerà ad acutizzarsi, finita l’onda anomala dei finanziamenti post Covid che ha imposto una collaborazione altrettanto inedita tra atenei, imprese, istituzioni.

L’istituto Ismeri Europa, fondato e guidato da Enrico Wolleb - che dal 1985 si occupa di consulenza strategica e valutazione di policy per organismi pubblici e per l’Ue - ha da poco completato uno studio su 47 regioni in 13 Paesi membri per valutare come sarà la coesione in Europa nel 2035 in risposta ai tre mega-trend in atto - globalizzazione, invecchiamento e società a zero-emissioni – e quale l’impatto delle diverse misure Ue. «È emerso che ci saranno disparità sempre più intense tra le regioni e dentro le regioni, con l’arretramento anche di aree oggi più sviluppate, come la Germania, per il phasing out dalle energie fossili – spiega Wolleb – e una carenza sempre più grave di manodopera qualificata». Gli attuali pattern centro-periferia saranno confermati, con un Sud-Est Europa più in affanno rispetto al cuore dell’Ue, soprattutto in tema di globalizzazione e tenuta di filiere e Pmi. E la conseguenza sarà «una domanda sempre più forte di politiche di coesione calibrate su esigenze locali, con la necessità di aumentare anche i budget. E serviranno politiche industriali chiare, oggi assenti», aggiunge Wolleb. Altro aspetto evidenziato da Ismeri Europa è che le misure per affrontare le tre sfide epocali hanno un effetto cumulo l’una con l’altra e vanno quindi integrate. «L’organizzazione verticale delle pubbliche amministrazioni mal si sposa con la necessità di far dialogare competenze e servizi trasversali, serve una profonda revisione anche della governance pubblica», conclude. Troppi strumenti europei confluiscono su ricerca e innovazione - da ultimo Step - da fondi diversi, con governance diverse e finalità sovrapposte. Una semplificazione aiuterebbe non solo ad accelerare i tempi delle politiche e la misurazione degli obiettivi ma anche la capacità di comprendere, raccontare e condividere con le comunità, in modo semplice, quanto l’Ue sta facendo per sostenere la crescita intelligente, inclusiva e sostenibile del Vecchio continente. A tutto vantaggio del senso di appartenenza alla casa comune di 27 popoli.

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