L’ombra dei boomer sulla maturità
L’ombra dei boomer sulla maturitÃ
Benvenuti nel 2024, in quel piccolo (una volta grande) Paese che è l’Italia, che fu culla di civiltà ma che ha deciso di sfilarsi dalla creazione di quella futura, qualsiasi essa sia. Nelle nostre scuole, gli oltre 500mila maturandi sono ripiegati sul banco e sul passato. Nei giorni scorsi erano circolate diverse speculazioni sulle possibili tracce con cui si sarebbero potuti confrontare in occasione della prima prova. Come spesso accade, qualche profezia si è avverata, ma non quelle di chi sperava una reale chiamata all’appello sul fronte delle agenda contemporanea. Chiariamo che io guardo a questo spaccato che ritengo molto importante da due punti di vista: da esperto di tecnologie digitali e da imprenditore. Capite che, per forza di cose, ho le spalle voltate in avanti, verso il futuro. Però, se leggo le tracce proposte ai nostri studenti, di futuro trovo poco.
La parola progresso tecnologico comparirà negli elaborati che prendono spunto dal testo di Luigi Pirandello, classe 1867. Confesso che mi piacerebbe moltissimo conoscere il pensiero che avrebbe potuto maturare su una società che vede l’alba un secolo dopo, quando il secolo che ci separa è quello che nella storia dell’umanità più ha creato divari in frazioni di sé, di 20 anni in 20 anni al massimo, ma evidentemente non è possibile. Gli studenti che oggi desiderano ragionare sul progresso tecnologico, sulle implicazioni etiche (anche se per Pirandello dovremmo parlare proprio di moralità), e sulle sue ricadute sulla società, quindi, devono farlo dialogando con un personaggio terribilmente vecchio quale è Serafino Gubbio, protagonista del romanzo pubblicato per la prima volta nel 1916 e poi nel 1925. Cosa si possa dire oggi sul progresso tecnologico partendo da qui è una questione di creatività e fantasia.
Ma consideriamo un altro punto: Pirandello non era soltanto un uomo dell’epoca, ma un perfetto esemplare dell’Uomo universale che teme il progresso e lo distanzia, fino a demonizzarlo con nettezza. Non esattamente una visione che possa stimolare chi cova l’intenzione di avere una familiarità professionale con le discipline tecnologiche. Inoltre, il fatto che l’impostazione sia inevitabilmente pessimista, costringe un eventuale studente che ha fiducia in ciò che rappresenta la nostra quotidianità a dissentire e a ribaltare il ragionamento. Lo impegna, cioè, in una partenza da svantaggiato.
Posizione copia carbone nella seconda traccia che dovrebbe avere una vaghezza d’attualità: stavolta, il testo proposto è del contemporaneo Maurizio Caminito, bibliografo e bibliotecario, e proviene dal libro Profili, selfie e blog (2014, quindi comunque prima della reale esplosione dei social e dell’avvento dell'AI). In sostanza, ci si concentra sulle nuove forme di racconto di sé e di comunicazione del pensiero, che una volta si destinavano al diario personale (e segreto) e oggi vengono pensati per un’esternazione subito pubblica, quindi manipolati per un output al servizio della reputazione e dell’idea di sé che si desidera che gli altri abbiano. Intanto, ci vedo un corto circuito concettuale perché si domanda a un giovane di riflettere sulla soppressione dell’esperienza interiore non soltanto pubblicamente, ma anche a scopo di performance esplicita, quale è un esame di maturità in cui si punta al bel voto e si è alla berlina di occhi legittimamente indiscreti. Cioè esattamente lo stesso meccanismo che sta alla base di un video su TikTok.
Inoltre, ciò che colgo è ancora una volta quest’ombra di desuetudine, di paternalismo e di critica nel trattare ciò che trasforma e ci pone di fronte a sfide che, ci piacciano o meno, sono quelle che ci riguardano più da vicino. Andrebbero accolte con le maniche rimboccate piuttosto che all’angolo, quasi da vittime che non possono far altro che sospirare rievocando il vecchio, caro tempo che non c’è più. In queste tracce, ma posso estendere la riflessione a tutte, infatti, serpeggiano tristezza e nostalgia, e anche un certo patriottismo che ci impedisce di parlare di ciò che nasce lontano, nella Silicon Valley o in Cina, e che viene tenuto ai margini della nostra offerta didattica nazionale che, però, dovrebbe formare cittadini del mondo globale.
Fin qui, ho parlato da esperto digital poi, dicevo, c’è l’imprenditore: il pensiero critico è il terreno più fertile per l’emersione di tecnici e professionisti che nel mondo del lavoro fanno la differenza, ma dovrebbe aprirsi per favorire una riflessione sul domani (e al massimo sull’oggi) permeabile a un approccio di tipo dinamico, pro-attivo e costruttivo. Invece, facciamo crescere questi giovani in un brodo di cultura esclusivamente datato, chiuso e pauroso, che ha la forza di ingabbiarli, per non dire di castrarli (vedere alla voce percentuale di iscritti alle facoltà STEM). Insomma, tutto il contrario di ciò che serve, a noi e a loro.