Ue, Meloni frena ancora: c'è l'idea del voto modulato

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Ue, Meloni frena ancora: c'è l'idea del voto modulato

Stallo all'italiana. È questa, forse, la sintesi migliore della lunga giornata di trattative di Giorgia Meloni, che è costretta a dividersi tra le comunicazioni a Camera e Senato in vista del Consiglio europeo di oggi e domani e una girandola di telefonate e scambi whatsapp per provare a chiudere un negoziato che nelle ultime ore non sembra essersi sbloccato. In mezzo, il pranzo al Quirinale per fare il punto con il capo dello Stato sul vertice in programma a Bruxelles. E a sera un vertice a tre tra Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini per valutare insieme il quadro complessivo e concordare una linea condivisa.

Nel suo intervento mattutino a Montecitorio, Meloni insiste con nettezza sul concetto di «rispetto». Non solo dell'esito del voto, ma anche di «uno dei Paesi fondatori dell'Europa unita», il «terzo per economia e popolazione», quello «con il governo più stabile». Una replica neanche troppo velata a quella conventio ad excludendum verso i Conservatori di Ecr (e quindi Fdi) da parte dei Socialisti di S&D e dei Liberali di Renew. Nelle persone di Olaf Scholz ed Emmanuel Macron. E anche il Colle, al termine del pranzo, ci tiene a far filtrare una sollecitazione che sembra rivolta a tutti gli interlocutori in campo: «non si può prescindere dall'Italia», dice Sergio Mattarella.

D'altra parte, l'approccio muscolare di Scholz e Macron ha irrigidito le posizioni in campo e rischia di avere strascichi in quella che oggi a Bruxelles si annuncia come una lunga notte. Meloni, infatti, ha chiesto a Ursula von der Leyen precise garanzie per dare il suo ok alla riconferma della presidente della Commissione uscente. Un via libera che avverrà in due tempi: prima con il voto in Consiglio (dove l'Italia non sarà determinante) e poi con il sostegno in Parlamento (dove i voti di Fdi potrebbero essere decisivi).

La trattativa, spiega intercettato alla buvette in tarda mattina il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, «non è chiusa» e «non va sottovalutato il pragmatismo della premier che è l'unica a guidare un Paese che ha vinto le elezioni». E per dare il suo appoggio durante il Consiglio Ue di oggi e domani, Meloni ha chiesto che all'Italia sia riconosciuta una vicepresidenza esecutiva della Commissione, con annesso un portafoglio economico di peso. È questo al momento il nodo del negoziato, che forse nella tarda serata di ieri potrebbe essere entrato nel vivo. Ormai, però, il tempo stringe. E se oggi a ora di pranzo Meloni arriverà a Bruxelles senza una soluzione di massima sul tavolo, non sarà facilissimo trovare la quadra durante il vertice. Con il rischio che lo stallo porti davvero a quell'astensione evocata in privato dalla premier già nella sera di martedì. Tra le ipotesi, per altro, c'è anche quella di modulare la posizione italiana caso per caso quando il Consiglio Ue affronterà il nodo nomine: astenersi sulla riconferma della tedesca von der Leyen (Ppe) a presidente della Commissione, votare contro il portoghese Antonio Costa (S&D) a presidente del Consiglio, astenersi ancora sulla estone Kaja Kallas a Alto rappresentante per la politica estera (in quest'ultimo caso l'ipotesi di votare contro sarebbe stata archiviata sia per il buon rapporto che c'è tra lei e Meloni, sia perché potrebbe essere interpretato come un favore a Mosca). Peraltro, l'astensione di Meloni - che certo farebbe rumore - non sarebbe un inedito, visto che nel 2019 fu l'allora cancelliera tedesca Angela Merkel ad astenersi sul voto per von der Leyen. Come pure nel 2014 Ungheria e Gran Bretagna votarono contro la nomina di Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione.

D'altra parte, per il via libera in Consiglio è sufficiente la maggioranza qualificata degli Stati membri (14 su 27) che rappresenti il 65% della popolazione. Insomma, il dissenso italiano non avrebbe conseguenze pratiche ma politiche. Che potrebbero però indebolire il bis di una von der Leyen che già non gode di un'ampia maggioranza parlamentare. Un'astensione evocata ieri anche da Antonio Tajani, che ha ribadito la sua richiesta al Ppe di «aprire un dialogo con Ecr». «Se invece ci fosse un accordo tra Popolari e Verdi - ha aggiunto il leader di Forza Italia - potremo astenerci o votare contro».

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