Kasabian: “Cercando le mie radici genovesi ho scoperto la passione per i film horror italiani”
Kasabian, due concerti in Italia il 22 e il 23 giugno_KSBNPress shot
Le radici italiane (Genova) si fanno sentire. Serge Pizzorno ha chiamato i suoi due figli Ennio e Lucio Leone, omaggio alla musica (Ennio Morricone) e al cinema (Sergio Leone) italiani. Però non riesce ancora a esprimersi in italiano, e questo dispiace molto, a lui per primo: "È frustrante, sono ancora fermo a 'Io sono Sergio' e invece vorrei avere una vera conversazione. Ma ci sto lavorando", osserva.
Con i Kasabian, Pizzorno torna in Italia per due date, sabato 22 giugno a Gardone Riviera, all’Anfiteatro del Vittoriale, e domenica 23 giugno a "La Prima Estate", il festival di Lido di Camaiore che li vedrà headliner insieme ai Fontaines D.C. Intanto, la band di Leicester si prepara per la pubblicazione del nuovo album, Happenings, che uscirà il 5 luglio e sorprenderà molti dei fan del gruppo inglese per il tono ottimistico e per i tanti brani scritti pensando al dancefloor.
“Happenings” è un album pieno di gioia, come se ci fosse sempre qualcosa di buono sul punto di arrivare.
“È anche per questo che si intitola Happenings. L’abbiamo scritto molto velocemente subito dopo l’uscita del disco precedente, in un anno, più o meno, e mentre facevamo il tour. Eravamo molto soddisfatti di come stavano andando i concerti, i migliori che avessimo mai fatto, ci sentivamo bene e felici per essere ancora on the road e per considerare la band più forte che mai, quindi credo che l’album rispecchi questi sentimenti, l’esatto punto in cui mi trovavo in quel momento. È un album in technicolor, positivo, è il suono della primavera”.
È anche un disco da ballare, ci sono diversi brani decisamente ritmati. Credo che molti vostri fan resteranno sorpresi.
“Io lo spero. In effetti, questo album vuole essere una sorpresa. Come artista sono sempre curioso, mi faccio tante domande, e questo è il modo in cui desidero continuare a essere. Nel muoversi sullo stesso ritmo c’è libertà, senso di abbandono, qualcosa di grandioso, è potente e primordiale, è una porta aperta in cui entrare per esplorare nuovi mondi. Quando sei nel music business da venti anni, come siamo noi, e questo è l’ottavo album, hai l’obbligo di cambiare. Del resto, se avessimo continuato a fare le stesse cose del primo album, a chi sarebbe interessato? L’abbiamo già fatto, e nel modo migliore per quel tempo. Oggi cerco nuovi modi per fare musica. Evolversi è il punto, come del resto succede agli esseri umani: non vorrai mica rimanere incollato ai tuoi 21 anni, sogniamo di poter essere per sempre giovani, ma non certo mentalmente”.
C’è una canzone che si intitola “Italian Horror” in cui lei cita il regista italiano Sergio Martino.
“Avrei voluto citare Dario Argento, solo che per ragioni di metrica non ci stava e allora ho citato Sergio Martino. Quando scrivo, anche se mi piacciono molto le parole, sono le immagini a ispirarmi. Amo per questo il cinema, e lo amo da quando io mi ricordi, sono semrpe stato ossessionato dai film. I gialli italiani poi mi piacciono davvero tanto, è un genere piccolo e strano che ho cominciato ad apprezzare da molto piccolo, avevo solo 7 anni. Erano pieni di stile. Questo riff mi ricordava qualcosa, forse un possibile coro da tifo calcistico, mi sono immaginato la curva della Sampdoria, nello stadio di Genova, e questo mi ha ispirato il tema della canzone, questo genere horror e gotico che io amo”.
C’è la canzone che chiude l’album, “Algorithms”, in cui sembra che lei voglia reagire al mondo digitale.
“Sì, è così, l’ho scritta un anno fa e la cosa curiosa è che il dibattito su AI e sugli effetti che potrebbe avere sugli esseri umani sta aumentando. Suonando di fronte alla gente, essendo uno spirito che si muove insieme, allo stesso ritmo, in uno stesso crescendo, il fatto che un algoritmo possa decidere come devi vestirti, sceglie per te la musica che senti o i film che vedi. L’AI non può ricreare ciò che abbiamo realizzato in tanti anni, ci spinge indietro, è il contrario che l’essere umani, per questo oggi stare assieme, ballare, è una sorta di necessità e reazione. Contro l’essere un cyborg”.
In Goat parla ai suoi figli Ennio e Lucio Leone, dice loro che la vita è una lotta, perché?
“Mi mostravano i Tik tok di Messi, di Ronaldo, di Francesco Totti, di Ali, o di Usain Bolt, i più grandi di tutti i tempi, ma la musica era spesso uno schifo… mi sono spesso ritrovato a dire che ci vorrebbe una moderna Rocky, e così avendo quell’idea in testa, ho iniziato a lavorarci. Volevo più che altro spingere i miei ragazzi a pensare in grande, a lavorare duro tutto i giorni, a ricominciare comunque vada, senza mai arrendersi”.
Come diceva, effettivamente la musica sui social è spesso uno schifo. Cosa significa, oggi, suonare il rock e fare musica?
“È qualcosa che mi chiedo tutti i giorni. Oggi più che mai, vediamo la musica come un contenuto di trenta secondi per clip immediate, usa e getta. Si sta perdendo l’importanza della musica, l’idea di come essa possa davvero cambiare le nostre vite. E invece il suo potere è qualcosa di scientificamente dimostrato, hanno testato come il cervello cambi la sua anatomia ascoltando la musica, è quello il suo potere. La musica può cambiare il tuo stato d’animo, se sei abbattuto può risollevarti. Tutto questo invece lo stanno negando, bisognerebbe dimostrare più rispetto, la gente deve ricordare quanto la musica sia per noi fondamentale”.
A causa di questo abuso che se ne fa, la musica può peggiorare?
“No, perché ogni generazione ha la possibilità di fare la sua scelta e di scegliere il suo modo. Bisogna anche accettare cosa porta la storia. Anche ai nostri tempi i genitori dicevano che la musica era solo rumore. Succede a ogni generazione. Ma ciò che è interessante è che la musica trova sempre il modo per affermarsi. Le grandi canzoni e le grandi band trovano sempre la strada per imporsi all’attenzione del mondo, oggi come 60 anni fa”.