A Quiet Place - Giorno 1, recensione: perché vivere in un mondo in rovina?

a quiet place - giorno 1, recensione: perché vivere in un mondo in rovina?

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Il silenzio di una grande metropoli. Il soverchiante nulla sonoro di una delle più grandi città del pianeta e la rabbia famelica di alcune forme di vita con cui nessuno si sarebbe mai aspettato di fare i conti. Mentre tutto finisce in rovina, sono gli scheletri e le ossa della società civilizzata a prendere il sopravvento sul panorama circostante, avvolgendo un mondo spento e dimenticato, in cui il vitalismo consumistico e individualistico ha ceduto il posto al terrore più cupo e ingiustificato. Nulla di nuovo, in effetti, specialmente se si sono visti i due film usciti in precedenza al cinema, ma piuttosto un cambio di prospettiva, un ulteriore ampliamento di quel contesto orrorifico che le persone hanno imparato ad apprezzare e seguire attraverso lo sguardo di John Krasinski regista. Così, A Quiet Place - Giorno 1 (A Quiet Place: Day One, in originale) trasporta il grande pubblico in qualcosa di familiare, lavorando più sul momento specifico che sulla visione ad ampio raggio.

Disponibile nei cinema italiani dal 27 giugno 2024, A Quiet Place - Giorno 1 abbraccia nuovamente le dinamiche narrative che tutti conosciamo, trasponendone le possibilità specifiche attraverso una scrittura che si fa analisi intima e privata, in un contesto sicuramente differente e affascinante. Non c’è novità in un approccio del genere, è bene specificarlo fin da subito, quanto piuttosto un metodo narrativo che tiene conto di alcuni elementi, sia familiari che nuovi, lavorando da vicino uno sguardo che torna al principio di un’invasione aliena tremendamente violenta, in relazione alle risposte di un’umanità anche qui totalmente allo sbaraglio.

A Quiet Place - Giorno 1: la voce di una metropoli gigantesca

A Quiet Place - Giorno 1 sceglie di lanciare immediatamente il pubblico al cinema nei meandri della propria anima più metropolitana, raccontando da vicino alcuni dettagli specificamente connessi all’inquinamento sonoro della città di New York. Il cambio di ambientazione è fondamentale, come lo sono anche le specifiche letture umane e disumane proprio in questo senso. Mentre la sala viene invasa dal caos quotidiano della “Grande Mela”, facciamo la conoscenza di Sam (Lupita Nyong’o), una ragazza malata di cancro che vive la sua quotidianità all’interno del centro specializzato in cui soggiorna. Sarà proprio attraverso lei e il suo gatto Frodo che entreremo nel vivo dell’azione quando, durante una gita in città, succederà l’irreparabile, lanciando l’umanità nel caos più puro e crudo.

Attraverso lo sguardo di Sam si concretizza tutto il terrore di A Quiet Place - Giorno 1, tutta l’incredulità di un’invasione aliena caratterizzata dalla presenza improvvisa, sul pianeta, di famelici e crudeli mostri che cominciano a cacciare la razza umana con spargimenti di sangue paralizzanti e terrificanti. Come visto anche in A Quiet Place Parte 2, però, le persone sul posto riescono a comprendere fin da subito cosa fare per tentare di salvare la propria pelle in una situazione praticamente surreale.

Intuendo che gli alieni in questione sono ciechi, se non per un udito estremamente sviluppato, piomba immediatamente il silenzio in una metropoli che si ferma completamente in ogni suo essere. Sam, però, ha qualcosa per la testa, un vero e proprio obiettivo che la metterà al centro di un cammino in cui incrocerà la propria storia con quella di Eric (Joseph Quinn), un giovane uomo totalmente allo sbaraglio e alla ricerca di punti fermi in un momento in cui ogni cosa sembra persa per sempre.

La carcassa spenta del mondo che fu

La reale voce di A Quiet Place - Giorno 1 si sviluppa partendo proprio dalla sua ambientazione. Andando oltre tutte le sensazioni di déjà-vu che una storia del genere restituisce nell’immediato, specialmente se si è appassionati del genere, è la New York abbandonata e semidistrutta in cui vediamo muoversi i protagonisti a colpire e lasciare a bocca aperta. Il contrasto fra le prime sequenze, coloratissime e irrequiete, e il silenzio terrorizzante successivo lascia sicuramente il segno, di pari passo ad alcuni momenti figurativi, ad alcune inquadrature che funzionano proprio grazie alla magnificenza, in questo caso disperata, di una città totalmente allo sbaraglio.

La regia di Michael Sarnoski si muove sempre in questa particolare alternanza fra intimismo e sguardo più ampio, tagliando la situazione specifica dei protagonisti con alcuni momenti che parlano senza il bisogno di parole.

Sono i campi lunghi e le inquadrature più ampie a raccontare le circostanze di una civiltà umana praticamente irriconoscibile, il tutto passando per alcuni luoghi specifici che assumono significati reconditi proprio in relazione a quello che vediamo accadere sul grande schermo. Quando il silenzio prende il sopravvento su ogni altra cosa, ovviamente, è l’espressività visiva a farla da padrona in un mondo in cui il minimo errore significa morte, anche atroce. Riflettendo su una dinamica del genere, è impossibile non constatare quanto siano fondamentali le interpretazioni di Lupita Nyong’o e Joseph Quinn al fine di rendere credibile quello che sta accadendo, nel modo più crudo possibile.

L’intera plausibilità di A Quiet Place - Giorno 1 si basa e si costruisce proprio sull’espressività di questi due attori che vengono ripresi da vicino continuamente. I primi e primissimi piani della pellicola non lasciano spazio ad alcuna interpretazione, catturando le loro espressioni di terrore, paura e agitazione, e soffocando ulteriormente un racconto in cui la claustrofobia è elemento ricorrente, insieme a un’agitazione che trova dimora nel profondo della generale incertezza di ogni individuo in città.

Quinn e Nyong’o riescono a funzionare molto bene in A Quiet Place - Giorno 1 , divenendo il manifesto più forte e diretto di una fragilità che si nutre di incertezze quotidiane, e di alcuni tentativi di coraggio che non hanno alcun bisogno di troppi dialoghi e di una scrittura irta. Entrambi gli attori riescono a lavorare molto bene le sensazioni e i momenti più critici che vivono i propri personaggi, plasmandone alcuni moti interiori fondamentali, con cui risulta semplice entrare in contatto fin da subito. Il dolore, la paura e la memoria ricorrono continuamente in un racconto sia molto basilare nel suo insieme, e classico, che interessante dal punto di vista più umano e specifico. Mentre ogni cosa cade nell’oblio, portandosi dietro i fasti della società umana al suo picco e splendore, che cosa ci resta da fare? Per cosa dovremmo continuare a vivere?

In collaborazione con CulturaPop

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