Gábor Király, il leggendario portiere col pigiama
«I pantaloni della tuta sono un segno di sconfitta. Ne compri un paio quando perdi il controllo della tua vitaВ», avrebbe detto Karl Lagerfeld, il Kaiser della moda e inventore della professione del direttore creativo, di cui fu il primo a esserlo per ChloГ©, Fendi e Chanel. ChissГ come avrebbe commentato l’outfit di GГЎbor KirГЎly, il leggendario portiere ungherese famoso forse piГ№ per il caratteristico outfit che altro: dei pantaloni grigi in cotone, da ginnastica, accuratamente infilati nei calzini, un po’ oversize, gli valsero il soprannome di “portiere col pigiama” su cui KirГЎly costruГ¬ oltre un ventennio di carriera. В«Li indosso per comoditГ . In fin dei conti, sono un portiere, mica un modello – raccontava a FIFA.com nel 2016 – e ormai fanno parte del mio stileВ». В«Ho indossato la prima volta i pantaloni grigi quando giocavo in Ungheria – aveva aggiunto alla BBC –, non sono sufficienti a farmi giocare bene, ma li trovo comodi. All’inizio ne portavo un paio nero, ma un venerdГ¬ il magazziniere non lo lavГІ e il sabato c’era una partita. Siccome io avevo solo un paio di pantaloni grigi, indossai quelliВ». Sono diventati un’icona e un brand, tanto che il sito web kiralyshop.hu ne vende a trenta euro.
Il 26 giugno 2016, a Tolosa, l’Ungheria perdeva 4-0 col Belgio di Eden Hazard e usciva agli ottavi del terzo Europeo che avesse disputato nella sua storia, a quarantaquattro anni dall’ultima volta (nel 1972, con Flórián Albert, Pallone d’oro) e a oltre sessant’anni dalla finale del Mondiale 1954 (persa, con Ferenc Puskás in campo). Non solo i magiari si erano qualificati all’Europeo, ma in Francia avevano vinto il Gruppo F davanti all’Islanda e al Portogallo, terzo e vincitore del torneo. Gábor Király indossava i suoi pantaloni grigi, il 26 giugno 2016 diventava il calciatore più anziano a disputare un Europeo – a 40 anni e 74 giorni, più dei 39 anni e 91 giorni di Lothar Matthäus (meno però dei 41 anni di Pepe che sta giocando Euro2024) – e subito dopo si è ritirato: «Vorrei giocare a calcio, ma a quarant’anni non posso più farlo come vorrei. I miei ventiquattro anni da professionista si fanno sentire, sono grato delle 107 presenze in Nazionale e non c’è miglior addio dopo la partecipazione all’Europeo». La sua favola era iniziata, il 25 marzo 1998, nel migliore dei modi: esordio con l’Ungheria, in un’amichevole con l’Austria, e un rigore parato dopo soli sette minuti, al primo pallone toccato: «È stato incredibile sentire i tifosi cantare il mio nome».
Gabor Kiraly, portiere dell'Ungheria
Gábor Király era nato il 1° aprile 1976 nella città più antica dell’Ungheria, Szombathely. Se suo padre Ferenc giocava in un club locale (l’Haladás), lui praticava piuttosto la pallamano e il salto in alto, solo dopo il calcio. Nel 1997 è andato a giocare all’Hertha Berlino, con cui ha debuttato in Champions League – memorabili le parate contro il Barcellona e a San Siro contro il Milan di Shevchenko – e dove, per un certo periodo, era secondo solo a Oliver Kahn e Jens Lehmann. Nel 2004, Király si è trasferito in Inghilterra al Crystal Palace. «Il mio cognome significa “re” in ungherese – spiegava a FYP Fanzine–, forse è per questo che mi affascinava un club dal nome di un palazzo». C’era un problema: «Mi dissero che non potevo indossare la tuta. Provai i pantaloncini corti, ma in una trasferta a Londra col Chelsea feci un errore e subimmo gol. Da allora, sono tornato ai pantaloni da ginnastica». Gábor Király avrebbe poi giocato per Aston Villa e Burnley, ancora in Germania (Monaco 1860) e ancora a Londra (Fulham) prima di chiudere la carriera dov’era iniziata, in Ungheria, all’Haladás, dove «servivano pantaloni che attutissero i tuffi sulla terra battuta e l’erba ghiacciata».
Tutto era nato per necessità «e di una taglia in più, per facilitare i movimenti. La praticità è più importante del look». Nel guardaroba di Gábor Király ci sarebbero quindici paia di pantaloni grigi – scrisse il Guardian–, riposti nel bagaglio a mano nelle trasferte temendo che le compagnie aeree potessero perderli. Da capo d’emergenza (sua madre non riuscì a lavare in tempo i pantaloni neri) a capo fortunato (dalla prima volta in cui li indossò, la sua squadra, l’Haladás, vinse otto partite di fila). Non è l’unica sua scaramanzia di Gábor Király: ci sono una maglia nera con una tigre, una maglia da basket col suo numero fortunato (il tredici), lo scendere per primo dall’autobus, l’indossare il parastinco sinistro prima del destro e – dal Duemila – c’è It's My Life dei Bon Jovi prima di ogni partita. Oggi il portiere non gioca più, ha fondato una squadra di calcio col suo nome (Király SE, nel 2006) e una scuola per portieri (nel 2013). L’Ungheria s’è qualificata a due altri Europei – nel 2020 non ha superato il girone da incubo con Francia, Germania e Portogallo, nel 2024 è arrivata terza nel girone con Germania, Scozia e Svizzera – ma i pantaloni di Re Gábor, il secondo calciatore per presenze nella storia del suo paese (Dzudzsák ha giocato una sola partita in più di lui) restano un’icona. E quel primo leggendario paio di pantaloni grigi, usato oltre cento volte, è custodito nel suo guardaroba.
«I pantaloni della tuta sono un segno di sconfitta. Ne compri un paio quando perdi il controllo della tua vitaВ»
(Karl Lagerfeld)