Cos'è la tassa del 2% sui patrimoni che verrà proposta al G20 da Lula e chi sono i Paesi che si oppongono
Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva
Una tassa del 2% sui grandissimi patrimoni. La proposta, che riprende quelle di alcune ong come Oxfam, sarà sostenuta al prossimo G20 dal presidente del Brasile (che quest'anno guida il forum internazionale), Luiz Inacio Lula da Silva. Solo in Italia si porterebbero in dote allo Stato circa 16 miliardi di euro l'anno, utilizzabili per la spesa pubblica (tra cui scuola, sanità e pensioni anticipate). Un fronte di Paesi dello stesso G20, però, è pronto a dire "no", rendendo molto difficile un accordo sul tema come accaduto per la Global minimum tax, la tassa minima del 15% per le multinazionali in tutto il mondo.
«Sosteniamo la tassazione sui grandi patrimoni - ha spiegato Lula - un gruppo di soli 3mila individui concentra la ricchezza del pianeta. Se mettessimo una tassa del 2% anche solo su di loro, si aiuterebbe a eliminare la fame nel mondo. Tremila miliardari possiedono quasi 15mila miliardi di dollari». In Italia la proposta è sostenuta da un fronte di 154 economisti, tra cui Fabrizio Barca, Leonardo Becchetti, Guido Alfani e Alessandro Santoro. Vediamo nel dettaglio come funzionerebbe e chi si oppone al livello internazionale.
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Tassa sulle ricchezze, cos'è la proposta di Lula
La tassa del 2% funzionerebbe sul modello della minimum tax, ma invece di essere un'imposta che colpisce i redditi d'impresa, si rifarebbe sui grandi patrimoni. Sarebbe per la precisione un’imposta progressiva sui grandi patrimoni. Potrebbe arrivare a colpire fino allo 0,1% della popolazione mondiale che detiene la quota maggiore di ricchezza. A luglio l’economista Gabriel Zucman, su incarico di Lula, presenterà ai Paesi più industrializzati un piano dettagliato su come attuarla.
Oltre alla Francia, che aveva aperto all’idea già durante il G20 Economia a San Paolo, anche Germania, Spagna e Sudafrica hanno già espresso il loro sostegno. Ad opporsi, invece, saranno quasi sicuramente Arabia Saudita, Argentina e Turchia. Verso il no anche la Russia, mentre è un'incognita la posizione cinese. Gli attuali governi di Italia e Regno Unito si sono poi sempre opposti a qualsiasi tipo di tassa patrimoniale o aumento dell'Irpef, anche per i soli ricchissimi. In ogni caso, però, nel Regno Unito le prossime elezioni del 4 luglio, con la probabile vittoria dei laburisti, potrebbero cambiare il quadro politico.
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Fondi ai Paesi in via di sviluppo
«Discuterò di alcune delle nostre prioritàper la presidenza brasiliana del G20 come disuguaglianze, cambiamento climatico e riforma della governance globale», ha spiegato qualche giorno fa Lula al G7. «Lanceremo - ha aggiunto - una task force contro la fame e la povertà aperta a tutti i Paesi, compresi quelli non membri del G20. Abbiamo anche lanciato una task force per la mobilitazione contro il cambiamento climatico per incentivare l’attuazione dell’accordo di Parigi».
Per Lula la tassa dovrebbe «finanziare la risposta a emergenze globali come disuguaglianze, fame e povertà e portare a misure per far fronte al debito delle economie in via di sviluppo: dobbiamo convertire il debito impagabile in asset e progetti infrastrutturali, soprattutto quelli delle transizioni energetiche in Africa, Asia e America Latina». Se così fosse l'Italia ad esempio non potrebbe utilizzare tutto il gettito che si genererebbe per sé. Ma la destinazione finale dei fondi ricavati dalla tassa non è definita.
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L'appello degli economisti italiani
Come detto 154 economisti italiani, tra cui Fabrizio Barca, Leonardo Becchetti, Guido Alfani, Alessandro Santoro, Mauro Sylos Labini, Andrea Roventini, Emanuele Felici, Gianfranco Viesti e Pasquale Tridico, hanno già sottoscritto il «Manifesto degli economisti e delle economiste italiani», lanciato da Oxfam Italia. Nel nostro Paese la ricchezza posseduta dallo 0,1% dei più ricchi, poco meno di 50 mila persone, è tre volte superiore a quella nelle mani della metà più povera della popolazione (circa 25 milioni di italiani).
Il Manifesto degli economisti punta a istituire un’imposta progressiva sui grandi patrimoni, da applicarsi a quello 0,1% più facoltoso dei cittadini, per la parte di patrimonio netto che eccede i 5,4 miliardi di euro. Le entrate, secondo Misha Maslennikov, uno dei policy advisor di Oxfam Italia, potrebbero arrivare «fino a 16 miliardi di euro l’anno». D'accordo tra le maggiori forze politiche italiane Alleanza Verdi-Sinistra e Movimento 5 Stelle, con alcune voci a favore anche nel Partito democratico.
Non si tratta propriamente di una «patrimoniale»: verrebbero introdotti «tre ulteriori scaglioni e aliquote marginali Irpef per redditi più elevati» visto che, grazie soprattutto a holding e trust offshore, la maggior parte dei miliardari riesce a pagare un’aliquota fiscale molto più bassa, in proporzione al reddito, rispetto al resto della popolazione italiana ed europea. L’Osservatorio fiscale dell’Unione europea stima che paghino l’equivalente dello 0-0,5% della loro ricchezza in imposte sul reddito personale.
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L'obiettivo
«Con questo Manifesto ci auguriamo di avere l’ascolto della classe politica», spiega Misha Maslennikov, «che non può più ignorare la necessità di rafforzare l’equità del nostro sistema fiscale e rinunciare a recuperare risorse cruciali per abbattere le liste d’attesa nelle strutture sanitarie pubbliche, stabilizzare il personale precario nelle scuole, finanziare misure di supporto a cittadini in condizioni di fragilità e una lotta senza quartiere ai cambiamenti climatici».
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