“Vi racconto The Smile, l’ultima visione di Tom Yorke”. La band al Medimex di Taranto
The Smile di Thom Yorke torna con ‘Wall of Eyes’_FL_The Smile_10.23_1v_AB_F03_credit Frank Lebon
Prendete una delle più belle voci della storia del rock. Aggiungetevi il prometeico, multiforme progetto di riscriverne il senso, verso territori allo stesso tempo volti al passato remoto e a una realtà invivibile quanto attuale. E aggiungetevi che quella voce è anche veicolo di una delle più intense e visionarie forme di poesia contemporanea.Ecco il progetto Radiohead, dai suoi stentati esordi nel primo lustro dell’ultima decade dello scorso secolo, quando già una sorta di inafferrabile alieno ci cantava la sua ineluttabile diversità che, nei decenni, lo avrebbe portato a essere chi è oggi, ossia quel Thom Yorke che in una moltitudine di progetti continua a sorvolare sulle nostre strane epoche e altrettanto si fissa nelle nostre menti con visioni apocalittiche e qualcosa sospeso tra l’incubo di un’attualità insostenibile e un ponte verso non si sa cosa, ma saldamente agito sul palco in cui i Radiohead, gli Atoms for Peace o The Smile (quest’ultimi attesi al Medimex di Taranto per una data, sabato prossimo 22 giugno, che risulta imprescindibile per gli amanti della musica tout court) ridipingono una tradizione di ricerca e innovazione arcana e sciamanica che solo loro, dopo “i padri” Pink Floyd, hanno saputo riattualizzare il nostro sacrale e divertito, profondo e allo stesso tempo irriverente ritratto sonoro dei nostri sogni e dei nostri incubi.
Dovremmo partire forse dall’ancora fragile Pablo Honey, album d’esordio dei Radiohead, un album “indie” (che vuole dire tutto e nulla, in bilico sul fragile concetto di mainstream e l’utopia di una musica al contempo pop e indipendente) dove svettava l’ormai classica Creep in cui l’allora giovanissimo cantante urlava la sua diversità, il suo sentirsi alieno, inadatto a questa vita e insomma, “mostruoso”.
Poi i giovani crescono e infilano tre capolavori della storia della musica, Ok Computer, Kid A e Amnesiac. Siamo a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio e il linguaggio musicale e poetico dei Radiohead stravolge tutte le regole (che intanto si erano perse), mischiando musica contemporanea, elettronica, free jazz e distorte, improbabili sonorità da discoteca. Qualcosa che con molta più consapevolezza li collega al “progressive” dei Settanta, e con un unico, dicevamo, evidente per quanto rivisitato, legame, quello con i Pink Floyd. La loro musica, i loro testi quanto i progetti grafici dei dischi sono sempre più il patto sciamanico tra l’alienazione e la liberazione attraverso una strenua ricerca di consapevolezza, di nuove sintonie con il mondo.
E Thom Yorke e compagni, come tutti, hanno vissuto il dramma degli arresti domiciliari di massa, supplendo all’alienazione estrema di questi anni con la musica (così come Roger Waters, Taylor Swift e altre stelle del panorama mondiale). The Smile nasce da mesi chiusi in casa a elaborare le paranoie e i sogni mancati attraverso un’ininterrotta serie di sessioni in cui due dei membri dei Radiohead, Thom Yorke e Johnny Greenwood (i più importanti? Certo i più ispirati) hanno sperimentato con il percussionista Tom Skinner. Wall of Eyes è il loro secondo album, ed è quello che presentano nel breve tour italiano. Capace in qualche modo di smarcarsi dal progetto sempre in fieri dei Radiohead e con una propria connotazione marcatamente onirica, ipnotica: un jazz raggelato e post-discotecaro, sommerso da veri e propri viaggi astrali con continui cambi di registro se non di stile. Diciamo il più armonico e ispirato casino della musica di oggi, eseguito direttamente in quell’inferno che non sta nella cavità della Terra ma nel bailamme del quotidiano.
Visti dal vivo a Roma sono scioccanti e quasi inenarrabili: la dimensione del puro viaggio interiore. Un concerto imperdibile, tra migliaia di svolte, momenti dolcissimi di ballate classiche appena accennate prima di essere sommerse da impossibili rimandi al canto gregoriano, allo sperimentalismo di Stockhausen e Xenakis che si trasforma in aperture orchestrali mozzafiato di derivazione mahleriana e poi e ancora la brutalità del puro wall of sound delle ricerche californiane dei primi anni Sessanta.Insomma, perderli significa perdere buona parte di quanto la musica oggi ci offra. Al di là dei gusti personali, delle private passioni che ciascuno di noi inevitabilmente coltiva.