Come cambia la Chiesa: "È finita l’epoca cristiana. Oggi chi è credente vuole esserlo davvero"
Come cambia la Chiesa: "È finita l’epoca cristiana. Oggi chi è credente vuole esserlo davvero"
Panettiere
L’antidoto alla secolarizzazione per la Chiesa poggia su tre ingredienti: fiducia, umiltà e comprensione. Solo a queste condizioni le messe deserte e il calo di chi si avvale a scuola dell’ora di Religione saranno occasione di rilancio della missione cristiana in un contesto non più religioso. Ne è convinto il cardinale Jozef De Kesel, autore del libro ’Cristiani in un mondo che non lo è +’. Il 76enne arcivescovo emerito di Bruxelles, uno dei potenziali kingmaker al prossimo conclave, delinea i connotati di una Chiesa paradossalmente a proprio agio nei sentieri stretti della secolarizzazione. Che segna il tramonto della cristianità, non del cristianesimo.
Le chiese vuote tolgono il sonno a diversi cardinali. Per lei, invece, la transizione da una società religiosa a una secolarizzata può essere un’occasione (kairos). Che cosa la spinge all’ottimismo?
"Durante quasi un millennio il cristianesimo è stato la religione culturale qui in Occidente. La Chiesa poteva compiere la sua missione in un mondo che era cristiano. Una situazione e una posizione molto comode. E questo periodo della cristianità è durato così a lungo che la gente pensa sia la situazione normale. Ma non è così. Anche quando il cristianesimo non ha più lo status di religione culturale e quindi non rappresenta più la maggioranza della popolazione, può svolgere la sua missione. Questa è stata la posizione normale del popolo di Dio nell’Antico Testamento e il Nuovo non l’ha cambiata. Il mondo è infinitamente più grande della Chiesa, lei non è tutto ma deve essere presente dappertutto".
C’è troppa nostalgia nella Chiesa per i fasti e i privilegi del Rinascimento?
"Per secoli questa ha avuto molto influsso e, a volte, molto potere in Occidente. Di conseguenza, è stata in grado di realizzare tante realtà buone e belle. Ma il potere e l’influsso possono rendere sicuri di sé e orgogliosi. Questo pericolo era reale anche per la Chiesa. In questo senso, il passaggio da una società cristiana a una secolare ci invita ad accettare non solo di diventare una Chiesa più piccola, ma anche umile. Questo richiede una vera conversione ed è ciò che papa Francesco intende col processo sinodale".
Se è vero che, come scrive nel suo libro, in passato il credere era spesso viziato da un certo condizionamento sociologico, oggi i cristiani sono di meno, ma più liberi nel definirsi tali?
"La fede è un atto di fiducia. È sempre una risposta personale e libera dell’uomo all’invito di Dio. È stato così nel passato ed è così anche oggi. Tuttavia, chi è cristiano nella nostra epoca lo è perché lo vuole. Prima, la fede era portata e sostenuta da tutta la società, non c’era nemmeno una vera scelta. Questo è il caso di una società pluralista. Un simile cambiamento significa anche che per un cristiano la Chiesa e la comunità dei fedeli saranno molto importanti: per essere e rimanere cristiano in un mondo secolare, abbiamo bisogno più che mai di compagni di fede".
Lei auspica una Chiesa aperta. Questa passa dalla reintroduzione del diaconato femminile e dell’ordinazione di uomini sposati e dall’ok vaticano alla benedizione delle coppie gay, di cui voi vescovi fiamminghi siete stati ‘apripista’?
"Una Chiesa aperta non significa adattata a tutte le evidenze della modernità. Aperto significa aperto al mondo. La Chiesa vive nel mondo, non vive (più) nel suo mondo. Abbiamo molto da dargli: il gioioso messaggio dell’amore di Dio e la perla preziosa del Vangelo. Ma abbiamo anche molto da ricevere. È stata la chiamata del Vaticano II: capire i segni dei tempi per conoscere meglio ciò che il Signore chiede a noi. In tal senso dobbiamo comprendere la richiesta del diaconato femminile e dell’ordinazione di uomini sposati. E anche il nostro atteggiamento nei confronti del prossimo omosessuale".