‘The bikeriders’: Austin Butler e i motociclisti che incendiarono l’America: “Inseguo il mio mito James Dean”

‘the bikeriders’: austin butler e i motociclisti che incendiarono l’america: “inseguo il mio mito james dean”

The bikeriders Austin Butler e Tom Hardy_6660c01321e93

Quando la ribellione viaggiava sulla moto. Austin Butler e Tom Hardy diventano biker per Jeff Nichols, protagonisti, con Jodie Comer, di The Bikeriders. Il film, in sala il 19 con Universale, racconta la nascita e la fine dei gruppi di motociclisti che hanno attraversato – e spesso incendiato – l’America. La storia ripercorre quella dei The Vandals, banda che è frutto di fantasia, ma ispirato dal lavoro del fotoreporter Danny Lyon, che pubblicò nel 1968 un libro-resoconto dei quattro anni vissuti come membro del Chicago Outlaws Motorcycle Club.

Attraverso il punto di vista di Kathy (la sorprendente inglese Jodie Comer, l’arcicattiva Villanelle di Killing Eve) una ragazza che s’innamora del biker interpretato da Butler ed entra nel suo mondo, assistendo alla trasformazione di un gruppo di sbandati amanti della velocità in una pericolosa gang criminale: dieci anni di decadente romanticismo ma anche esaltazione della violenza, poi alcol, droga, passaggio generazionale e caduta degli ultimi valori, sotto la spinta affaristica.

Nichols racconta l’ispirazione per la figura di Johnny, interpretato da Tom Hardy, un uomo che ha un lavoro – da camionista – una famiglia e due figlie – ma che viene folgorato, una sera sul divano, dal “Selvaggio” Marlon Brando.

Il regista ricorda “leggendo la prefazione del libro di Lyon, mi colpì una considerazione che lui faceva sul leader del gruppo, Johnny, di cui era messo in discussione il ruolo. Per tanti quell’episodio ha segnato la fine della Golden era delle motociclette. E quelle parole – che trasmettevano qualcosa di bellissimo e triste – hanno dato la forma al mio film.

Il film sottolinea e conferma il fascino di Austin Butler. Da C’era una volta a Hollywood a Elvis, e ora questo film, i suoi ruoli recenti riguardano film ambientati nella seconda metà del 20° secolo. C'è un filo conduttore? “I grandi registi – risponde Butler – A volte colgo connessioni tra i film che non ho necessariamente visto prima o, questi qualche momento ironico, come in Elvis uno dei giornali parla degli omicidi di Manson, e così all'improvviso penso: oh, io ne facevo parte… per via di C'era una volta a Hollywood. Ma sono davvero i registi coinvolti che mi hanno fatto venire voglia di fare i film”.

Del fatto che lo hanno ribattezzato il nuovo James Dean dice “ovviamente, significa molto per me, perché James Dean era un mio mito da ragazzo. Quando ho visto per la prima volta i suoi film, mi sono sembrati la cosa più grande a cui mi trovavo davanti. Ma non so come reagire ai confronti. Se devo raccontare cosa mi ha attratto di Dean è quanto fosse animalesco, spontaneo, vulnerabile. Ricordo che una volta qualcuno mi disse che da una parte c'era Marlon Brando che diceva “vaffanculo”, dall'altra parte Montgomery Clift che diceva: "Aiutami". E poi nel mezzo c'era James Dean”.

Il film è anche un triangolo amoroso, quello tra il fascinoso Benny (Butler, che dopo quello di Elvis, evoca stavolta il mito di Brando) conteso tra Johnny (Hardy) e Kathy (Comer): Benny rappresenta quello a cui entrambi ambiscono per motivi diversi, a lui consegnano speranze e sogni. Ma lui non è la persona giusta, non è in grado di farlo e non sa cosa farsene”, spiega il regista. Racconta perché il punto di vista sia quello femminile: “La risposta pragmatica è che il personaggio di Jodie, Cathy, è ispirato alle interviste e ai libri sui denti di leone, e sono le migliori interviste del libro. È la più perspicace, introspettiva, a volte esasperante. È un essere umano in carne ed ossa che ha vissuto in quelle parole nel libro di Danny. Questa è la ragione numero uno. Quando fai un passo indietro e ci pensi tematicamente. Stai parlando di una cultura di uomini della classe operaia, che probabilmente non sono molto bravi ad esprimersi, forse anche a riconoscere le emozioni che stanno provando. C'è una scena tra il personaggio di Johnny e il personaggio di Kathy più avanti nel film, quando lui passa a casa sua. È semplicemente incapace di esprimersi, lei chiede: “Di cosa hai bisogno?” E lui è incapace di dirle la verità. Quindi, se immaginiamo il film raccontato dal punto di vista maschile, tutto diventa pesante, falso, perché gli uomini si mettono in posa o si nascondono. Per arrivare alla verità delle cose, sembrava che fosse necessario inserirla attraverso la lente di una donna”.

Il cinema e gli spettatori hanno una lunga tradizione culto delle due ruote, è ricca la colonna dei biker movies e dei loro carismatici centauri, dal Marion Brando de Il selvaggio evocato nel film di Nichols, al duo Dennis Hopper Peter Fonda di Easy Rider, passando l'Anthony Hopkins di Indian - La grande sfida. E poi Steve McQueen, Mel Gibson, Mickey Rourke, Gerard Depardieu… Ma anche I diari della motocicletta e, al femminile, Girl on a Motorcycle (Nuda sotto la pelle) con una bella fotografia nelle sequenze di strada, colorazioni psichedeliche e il fascino di Marianne Faithfull a cavallo della BSA 650. Ma soprattutto Rodeo, opera Lola Quiveron, presentata nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2022 , premio Speciale della Giuria al 40° Torino Film Festival, sa prendere, un western urbano e femminista con una straordinaria protagonista.

Sul fronte dei riferimenti cinematografici ragiona il regista: “La verità è che i film sui motociclisti erano sottogeneri secondari, sai, negli anni 60, negli anni 70, molti di loro erano film di serie B. Molti di loro sono solo film fatti davvero male. Ad essere onesti, il film di cui parlo non un film di motociclisti. E la dice lunga su quello che stavo davvero cercando di fare: parlo di Quei bravi ragazzi. Quello che Scorsese stava facendo in quel film era la rappresentazione di una sottocultura. Tutti i dettagli che si sentono, gli aneddoti su Scorsese, lui che si allacciava le cravatte in modo che il nodo fosse uguale ai ragazzi che vedeva quando era piccolo. Conosceva quel mondo, quei dettagli. E ha portato quella sottocultura, in modo romantico, ma c’è un cambio però. Tu vuoi stare con il protagonista, vuoi essere un gangster anche nella seconda ora del film? No. Dal punto di vista narrativo, questa è la stessa struttura che ho applicato a questo film. La prima ora è romantica, inondata di musica e divertimento, e poi questi personaggi iniziano a pagare le conseguenze delle decisioni di far parte di questo mondo. Quando ho visto il libro di Danny Lyon, ho scoperto i dettagli, gli ingredienti che non avevo attraverso l'esperienza di vita. Mentre invece Scorsese ha vissuto in questi quartieri e ha visto questi ragazzi”. Continua: “Ma i film che sono restati, del genere motociclisti, sono menzionati nei film, a partire da Il selvaggio. Ma questo è venuto fuori direttamente dal libro, sai, perché Il selvaggio è un grande distillato di cosa significhi essere un ribelle. Ci sono persone là fuori oggi che vogliono ribellarsi a qualcosa, e non hanno davvero bisogno di qualcosa contro cui ribellarsi. È una sensazione che hanno dall'interno. Vi garantisco che c'è un ragazzo di 16 anni da qualche parte in questo momento, probabilmente a Roma, che la pensa esattamente allo stesso modo. Ecco perché Il selvaggio è importante. Quanto a Easy Rider, è una pura espressione degli anni 60 nella cultura della droga e in tutto il resto. E se guardi al periodo tra questi due film, hai 15 anni. Questo collega Il selvaggio, un film in studio e Easy Rider. Cosa diavolo è successo in quei 15 anni? E’ ciò che ci racconta il mio film”.

Il film parla di ribellione e ricerca della libertà, ma i personaggi sono davvero liberi? “Forse la libertà è un costrutto. – ragiona il regista – Forse non è reale. O forse è solo un momento. La libertà forse non è una costante, ed è questo che la rende nostalgica. Ed è anche questo che lo rende attraente. Johnny non può toccare la libertà che ha Benny perché Johnny ha una moglie e dei figli, un mutuo e delle macchine. Perciò brama la libertà di questo giovane. Quando guardi l'arco narrativo del film, vedi i momenti che queste persone vivono, e che non esisteranno più. E questa è nostalgia più che libertà. Ma la libertà deve essere un momento che hanno vissuto all'interno di quella speranza”.

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