Finita male la telenovela redditometro: la destra di governo è prigioniera della destra di opposizione
Finita male la telenovela redditometro: la destra di governo è prigioniera della destra di opposizione
La telenovela del redditometro si è conclusa nel peggiore dei modi per il governo. Una tempesta in un bicchier d’acqua tutta interna alla maggioranza. Una clamorosa retromarcia della Meloni. Una plateale smentita per il viceministro Leo, colpevole di aver incautamente riesumato a poche settimane dalle europee una bestia nera della destra.
Non c’è solo autolesionismo politico, dietro a questi due giorni di impazzimento. La verità è che sulle tasse la destra di governo è rimasta prigioniera della propaganda della destra di opposizione, per cui la lotta all’evasione non va fatta neanche a parole e qualunque cosa evochi controlli più stringenti va evitata come la peste.
Il punto è che il sentiero della finanza pubblica si è fatto terribilmente stretto e Giorgetti e Leo - che conoscono bene lo stato dei conti - stanno tentando disperatamente di correre ai ripari. La destra indica come capro espiatorio di questa situazione il superbonus, i cui costi sono indubbiamente andati fuori controllo. Peccato che il governo abbia chiuso la stalla quando i buoi erano abbondantemente usciti: il costo per l’erario del 110 per cento all’insediamento del governo Meloni (ottobre 2022) era a quota 61 miliardi. Ha superato 122 miliardi a marzo 2024. A complicare le cose, è arrivato l’accordo sul nuovo patto di stabilità europeo avallato da Meloni e Giorgetti: per l’Italia, una camicia di forza.
Dopo le europee, Bruxelles aprirà a carico dell’Italia una procedura per disavanzo eccessivo, che impedirà al governo di ricorrere al deficit per finanziare le prossime leggi di bilancio e ci vincolerà a un riequilibrio dei conti a tappe forzate. Per confermare le principali misure dell’ultima legge di bilancio - dal taglio del cuneo fiscale al (timido) avvio della riforma IRPEF - servirebbero almeno venti miliardi, per non parlare delle risorse necessarie per le nuove misure.
Di fronte a questa tempesta perfetta, il governo si è chiuso in un mutismo assoluto. Non a caso, un mese fa Giorgetti ha presentato un Documento di Economia e Finanza (DEF) solo tendenziale, evitando accuratamente di anticipare le linee guida della prossima manovra di bilancio. Una azione più incisiva contro l’infedeltà fiscale sarebbe decisiva per fare quadrare i conti. Non è una missione impossibile: le stime rese note dal governo poche settimane fa evidenziano come tra il 2016 e il 2021 il cosiddetto “tax gap” si sia ridotto da 108 a 84 miliardi, grazie all’introduzione della fatturazione elettronica e di altre misure anti-evasione. Un utilizzo più razionale dell’immensa quantità di dati e informazioni già a disposizione dell’amministrazione permetterebbe un contrasto dell’evasione più mirato e meno invasivo e semplificherebbe il rapporto tra lo Stato e i contribuenti.
Lo stop al nuovo redditometro di Leo dimostra però che la destra non ha alcuna volontà di percorrere questa strada. E allora quello che si prospetta per l’autunno è una manovra finanziaria assai dolorosa. Un intervento drastico e indiscriminato sulle detrazioni fiscali - cioè un aumento secco delle tasse a carico di molti milioni di contribuenti - e un ulteriore taglio alla sanità e ad altri servizi pubblici essenziali, che sono già in debito di ossigeno. Un massacro innanzitutto per il ceto medio. Vittima sacrificale di un governo che continua a non voler “disturbare” chi le tasse si rifiuta pervicacemente di pagarle.