Papa Francesco punta all'essenza del cristianesimo delle origini e prende spunto dalla predicazione di un prete di Cl
Quale è l’essenza originale della vita cristiana? Papa Francesco non ha dubbi, si tratta di «recuperare l’essenziale», il che significa andare all'origine del cammino, prendendo come esempio illuminante la dinamica delle prime comunità cristiane. «Per troppo tempo abbiamo ridotto il cristianesimo a un codice di regole o a uno sforzo volontaristico, ma ogni moralismo alla fine ci lascia addosso un senso di fallimento e di tristezza». Non è la prima volta che questo concetto viene evidenziato. In diversi momenti del suo pontificato lo ha tirato fuori ed esposto ai fedeli, ai vescovi e ai cardinali.
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Stavolta Bergoglio lo sottolinea ad un uditorio più ampio, nella prefazione del libro che raccoglie tutte le omelie del defunto prete lombardo, ma romano d'adozione, con il quale strinse una profonda amicizia durante si suoi anni a Buenos Aires. Quando gli capitava di venire a Roma, visto che la città non la conosceva tanto, andava a celebrare la messa da don Giacomo Tantardini, ciellino, amico di Giulio Andreotti e del deputato Vittorio Sbardella, detto Lo Squalo. Tantardini, uomo coltissimo, era animatore di vari circoli culturali e spirituali, nonché parroco alla basilica di San Lorenzo fuori le Mura dove spesso Bergoglio celebrava messe e persino cresime.
La grande questione del cammino storico che contraddistinse le prime comunità cristiane e la conseguente diffusione della religione, secondo quanto tramandato negli Atti degli Apostoli, resta un punto fondamentale sul quale Francesco ha elaborato il percorso sulla sinodalità. Alcuni anni fa spiegò bene ai fedeli che lo stile di vita dei cristiani di Gerusalemme mostrava davvero quanto fossero «perseveranti nell’insegnamento e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. […] Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno». Persino l'Apostolo Luca descrisse la chiesa di Gerusalemme come «il paradigma di ogni comunità cristiana, come l’icona di una fraternità che affascina e che non va mitizzata ma nemmeno minimizzata». In un altro momento della predicazione di Francesco è stato fatto affiorare quanto la Chiesa di oggi, in occidente, abbia bisogno di questo orizzonte «e non soltanto in terre lontane, nelle chiese giovani, nei popoli che ancora non conoscono Gesù Cristo, ma qui in città (…) Non servono cristiani da salotto, educati, ma che non sanno fare figli alla Chiesa con l’annuncio e il fervore apostolico».
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Nelle meditazioni di don Giacomo Tandardini, scrive il Papa nella prefazione di un libro intitolato «È bello lasciarsi andare tra le braccia del figlio di Dio, omelie a San Lorenzo fuori le Mura (2007-2012),» ricorda così che la grande protagonista delle comunità cristiane è la Grazia. «L’iniziativa di Dio sempre previene e anticipa ogni nostra intenzione, accendendo un desiderio di bene per noi e per il nostro prossimo, specialmente quello più in difficoltà. Alla parola Grazia don Giacomo accompagna sempre un’altra parola, che la rende concreta: attrattiva, perché il Signore ci attira sempre con il fascino della sua umanità. Uno degli episodi evangelici più ricorrenti nelle omelie di don Giacomo è la conversione di Zaccheo: un traditore del popolo, il cui imprevisto cambiamento nasce quando, arrampicatosi per curiosità su quell’albero, incrocia lo sguardo di Gesù: Zaccheo scende di corsa pieno di gioia... questo sguardo è puro riflesso di essere guardati; questo è l’unico sguardo che non è impotente, questo è l’unico sguardo che è pieno di gioia, questo è l’unico sguardo che l’uomo non possiede, perché è solo essere guardati».