“Non siete brave musulmane”: 5 anni di carcere confermati per padre, madre e fratello

“non siete brave musulmane”: 5 anni di carcere confermati per padre, madre e fratello

“Non siete brave musulmane”: 5 anni di carcere confermati per padre, madre e fratello

Brescia, 3 luglio 2024 – Padre, madre e fratello sono finiti in carcere per avere maltrattato le loro quattro figlie e sorelle non ritenendole delle brave musulmane. La Cassazione ha confermato la condanna a cinque anni dei tre, tutti cittadini italiani, ma di origini pakistane per avere tormentato le giovani, fino a rasentare la violenza ai sensi del codice rosso.

Vita impossibile

La vita, per le ragazze, tra le mura domestiche era diventata praticamente impossibile, anche a causa del loro desiderio di non voler seguire tutte le regole imposte dalla religione dei genitori e del fratello, che sono invece profondamente credenti. I maltrattamenti sarebbero consistiti in schiaffi, pugni e tirate di capelli “perché le figlie rifiutavano di studiare ogni giorno le “sure” del Corano, ma anche per obbligarle a indossare abiti tradizionali della cultura pakistana”, come riportato agli atti. Le giovani non desideravano sempre portare il velo e abiti lunghi che nascondono il corpo.

La tesi dell’accusa

In Cassazione quindi è passata la linea tracciata dal presidente della Corte d’Assise di Brescia Roberto Spanò secondo cui: “I soggetti provenienti da uno Stato estero devono verificare la liceità dei propri comportamenti e la compatibilità con la legge che regola l’ordinamento italiano. L’unitarietà di quest’ultimo non consente, pur all’interno di una società multietnica quale quella attuale, la parcellizzazione in singole nicchie, impermeabili tra loro e tali da dar vita ad enclavi di impunità”.

“Farete la fine di Sana Cheema” 

Le ragazze a un certo punto si sono rivolte alle forze dell’ordine, esasperate dal comportamento di genitori e fratello, che rendevano la loro vista insopportabile, anche per via di pesanti minacce che hanno fatto temere le ragazze per la loro stessa vita. "In famiglia - aveva fatto mettere a verbale la più grande delle sorelle - mi dissero che se non avessi fatto come dicevano loro avrei fatto la fine di Sana Cheema, la ragazza uccisa in Pakistan per aver detto no al matrimonio combinato". Secondo l’avvocato Beatrice Ferrari, legale delle sorelle “si conclude oggi una battaglia soprattutto culturale che porta in auge l’affermazione dei diritti umani che dovrebbero essere garantiti in ogni parte del mondo”.

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