Marine Le Pen e la dédiabolisation, perché l'espressione (coniata negli anni 80) è tornata di moda
Marine Le Pen e la dédiabolisation, perché l'espressione (coniata negli anni 80) è tornata di moda
In francese si dice "dédiabolisation": letteralmente è de-demonizzazione, cioè il tentativo di lavare via la patina diabolica dal Front National, oggi Rassemblement national, il partito di Marine Le Pen. È un'espressione coniata alla fine degli anni Ottanta dagli stessi leader della formazione di estrema destra in risposta alle critiche "squalificanti" e "demonizzanti" che gli venivano rivolte.
Le Pen: obiettivo lasciarsi alla spalle la demonizzazione. Cos'è la dédiabolisation
La de-demonizzazione è una strategia recuperata da Le Pen che ne ha fatto un perno della sua campagna elettorale per le imminenti elezioni legislative. Serve per dare al partito - in testa nei sondaggi e quindi prossimo al governo - e al suo programma un'immagine più accettabile e moderata. Ma cosa comporta questa strategia? Si rinuncia e si stigmatizzano le dichiarazioni antisemite, razziste e negatrici dell'Olocausto del padre di Marine Le Pene, Jean-Marie Le Pen, fondatore del movimento. Della strategia fanno parte anche il sostegno a Kiev, la posa atlantista - anche questa non pertinente alla tradizione - che è di rottura rispetto al più volte agognato riavvicinamento strategico tra Nato e Russia.
Il termine è apparso per la prima volta sul quotidiano Le Monde, nel 1989, in un articolo sul Front National.
Questo processo, dunque, non è iniziato ieri. Come e perché torna attuale? Riavvolgiamo il nastro e andiamo a due anni fa, al febbario 2022 (anno delle elezioni presidenziali), a una visita a Reims di Marine Le Pen in cui pronunciò un discorso di dieci minuti, durante i quali non ha parlato della Francia, ma di sé stessa.
«Ora amici miei, mi prendo qualche minuto per raccontarvi di me. Perché credo che l'elezione alla presidenza della Repubblica sia innanzitutto un incontro tra il popolo e un uomo o una donna, e in questo caso una donna». Prende il via a parlare del divorzio dei suoi genitori, i suoi anni da madre single e perfino l'attentato all'appartamento della famiglia Le Pen nel 1976.
«C'è stato questo attentato. Avevo otto anni. Prima il silenzio. Il silenzio dell'esplosione che ti assorda. Poi il fumo, le voci che chiamano. E poi la domanda: chi è morto? Chi è vivo?». Parla in pubblico delle sue fragilità. E anche l'eloquio politico va di pari passo. «Molto presto, ho vissuto la violenza politica quando ero ragazzina a scuola», ha detto Le Pen a Reims. «Sono stata costretta a pagare per l’impegno di mio padre. Persecuzioni che lo spirito di una bambina spensierata non riesce davvero a comprendere», racconta evocando il tema della discriminazione mostrandosi fragile e appunto discriminata.
I toni sono volutamente non aggressivi. La de-demonizzazione trova spazio e il partito di Le Pen può apparire più convincente.
Oggi, rispetto alle legislative di due anni fa, alle quali aveva votato soltanto il 47,5% degli aventi diritto, ci si attende più partecipazione. Ma non è semplice tratteggiare degli scenari. Il maggioritario a doppio turno deve prendere in considerazione un terzo elemento: il gioco delle desistenze. Il partito di le Pen, Rn, se la batte contro il Nouveau front populaire, che non è un partito ma una coalizione di partiti. Se al primo turno dovessero essere eliminati sia il candidato della maggioranza presidenziale sia quello di Lr (Républicains), dove potrebbe dirigersi il voto moderato, centrista, dell’elettore filo-governativo? Non è così scontato che vada a fare "barrage républicain" contro Le Pen che deve muoversi dentro una logica di de-demonizzazione, deve potersi cioè accreditare come forza di governo.