Maldini, che frecciata: "Il supporto ai giocatori non si può spiegare a un proprietario con un foglio excel. Gli infortuni..."

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Maldini, che frecciata: "Il supporto ai giocatori non si può spiegare a un proprietario con un foglio excel. Gli infortuni..."

L'ex direttore tecnico del Milan, nonché storica bandiera ed ex-capitano, Paolo Maldini si è concesso in un lungo intervento al podcast AKOS di Luca Gemignani in cui ha raccontato diversi retroscena sulla sua carriera da giocatore e dirigente e non disdegnando una frecciata importante che non può che essere riferita, senza nominarla, all'attuale proprietà del club rossonero capitanata da Gerry Cardinale .

CARRIERA - “Non lo considererei un percorso monotono, anzi, ma un percorso pieno di alti e bassi e pieno di soddisfazioni, fatto grazie a Dio al massimo livello. Credo che la fortuna di uno sportivo che gioca in una squadra sia quella di trovare un club che abbia le tue stesse ambizioni e che abbia la possibilità di farti arrivare al tuo livello massimo. Ho avuto la fortuna di avere talento e aver avuto una squadra che mirava ai massimi obiettivi. Questo è stato il segreto numero uno per fare una carriera così lunga all’interno di un club”.

IL SETTORE GIOVANILE - “Io ho iniziato a 10 anni. Non era tardi, era esattamente il limite: sotto i 10 anni non potevi essere tesserato. Negli anni precedenti giocavi all’oratorio, ai giardinetti… Facevi tecnica in un’altra maniera. Poi dopo quando i miei figli hanno fatto le giovanili si poteva andare addirittura negli 8 con Christian e ai 6-7 con Daniel. Le regole sono cambiate. Soprattutto in certe squadre, ed il Milan era una di queste, gli anni delle giovanili erano improntati nell’acquisizione delle capacità tecniche. Si cercava di fare molta tecnica e pochissima tattica. E poi lo sviluppo di certe situazioni che si incontravano in campo, come l’uno contro uno sia in attacco che in difesa. Ho iniziato giocando da ala destra e sinistra, per poi retrocedere a 14 anni a terzino destro. In Primavera giocavo da terzino destro. Io preparerei i ragazzi ad un altro tipo di calcio, non assolutamente tattico. Perché poi la tattica ha un’evoluzione sempre nel tempo, più si va avanti e più è veloce: di conseguenza li stai preparando ad un qualcosa che sarà già vecchio quando saranno in prima squadra. Mentre certi principi di tecnica e di gioco, uno contro uno, rimarranno sempre attuali".

MILAN INNOVATIVO - "Milanello è stato costruito negli anni ’60 e già allora era il primo centro al mondo. Il Milan è stata tra le prime squadre al mondo ad aver creduto nel centro sportivo. Certo, non era il centro sportivo di oggi, ma c’erano già due campi, gli spogliatoi… C’era un’idea di luogo dedicato ed isolato. Con l’arrivo di Berlusconi, che ha preso una squadra che lottava per le prime 3-4 posizioni con una delle difese più forti di sempre, lui ha portato un’organizzazione aziendale che ha portato tutto e tutti al massimo livello. Non solamente a livello a calcistico, ma anche per comunicazione, organizzazione e rispetto dei ruoli. Sperimentando quelle cose lì si è raggiunta un’ottimizzazione del lavoro stesso. Devo dire che il Milan ha sempre avuto questa idea di cercare qualcosa di diverso: nel 2002, dopo due tre anni di livello medio, la società ha cercato quattro ragazzi usciti dall’università, che sembravano più pronti per venire e impostare un lavoro diverso. Sono arrivati questi quattro ragazzi che ci hanno dato un boost enorme a livello fisico, di prevenzione e di individualizzazione del lavoro, importantissimo. Avevamo giocatori di 35 anni come me e giocatori molto giovani, io ne avevo 39 e Pato 18 ad esempio: è anche impossibile pensare di allenare tutti alla stessa maniera. Anche per infortuni vari e per ruolo. Se tu giochi terzino o centrale, gli allenamenti e la fatica sono diversi. La corsa del laterale è una cosa completamente diversa dal centrale. Ti devi anche allenare in maniera diversa”.

RONALDO E VAN BASTEN - “Senza gli infortuni Van Basten sarebbe stato l’attaccante più forte di tutti i tempi? Beh già lo si può considerare. Marco al di là dei numeri, del fatto che potesse calciare di destro e sinistro, del fatto che era alto 1,88, che fosse veloce, che fosse cattivo, poi aveva anche questa capacità di essere bello nei suoi gesti tecnici. Marco già con quello che ha fatto, ha smesso a 28 anni praticamente, è da considerare tra i primi cinque attaccanti di sempre. Quello che aveva Ronaldo, che sinceramente non aveva quasi nessuno, o perlomeno quando un giocatore aveva quel tipo di velocità di impatto fisico non aveva la tecnica di Ronaldo… sinceramente riusciva a fare determinate cose con una velocità che nessun altro aveva e quindi abbinava controllo fisico, velocità e forza a una tecnica che era sinceramente in quei 3-4 anni lì era straordinaria”.

INFORTUNI - “Ho sempre avuto un pochino di fastidio ai tendini rotulei, come poi i miei due figli sono cresciuto in un’estate, classica cosa che poi ti porti dietro. Nell’82-83 c’erano pochi strumenti per migliorare. Io ho iniziato a fare lavoro in palestra serio nel 98-99, quindi a 30 anni, prima la palestra mai toccata. Noi fino agli anni 2000 non abbiamo praticamente mai usato la palestra. Facevamo tutto con salite, discese, bosco, balzi. Si usava veramente poco. Poi naturalmente la conoscenza ci ha portato a capire, io a 30 anni mi sentivo come se mi mancasse benzina e nel momento che ho toccato la palestra, la forza, sono esploso ancora fisicamente in maniera impressionante. I miei migliori anni a livello personale dal punto di vista tecnico e fisico sono stati nel 2002-2003 e 2003-2004, avevo 35 anni e sinceramente me la giocavo in velocità con qualsiasi giocatore dal punto di vista anche della tenuta, ho giocato sempre, tecnicamente e a livello di personalità ero meglio che a 20 anni.

IL MILAN E I MEDICI - “Io ho iniziato con il Milan che aveva due massaggiatori, un dottore, avevamo più o meno 15 fasce riutilizzabili che si estendevano per chi aveva problemi alle caviglie. Io avevo molti problemi alle caviglie, avendo i piedi all’indentro e avevo molte distorsioni, ma era un problema comune quindi capitava di prendere la fascia più brutta. Poi con Berlusconi sono arrivati i prodotti usa e getta, sono arrivati più massaggiatori, più dottori, il dietologo, altre figure professionali tipo lo psicologo o i preparatori: un gruppo di 10-15 persone. Adesso il gruppo dell’area medica è formato da circa 30-35 persone: sono 7-8 fisioterapisti, più qualche consulente esterno, più 2-3 medici che girano, giustamente non dico che sia esagerato, c’è grande attenzione sulla salute dei giocatori, gli asset del club. Quasi ogni calciatore ha un fisioterapista o un dottore privato ma ci devono essere delle regole. Ci deve essere un lavoro di squadra, non puoi fare un lavoro con un tuo fisioterapista senza avvisare il capo dell’area medica perché dopo scompensi. Soprattutto se si tratta di recupero dagli infortuni: se c’è un lavoro da fare si può fare all’esterno dalla struttura, ma si deve fare seguendo quelle che sono le indicazioni del chirurgo che ti ha operato o del dottore che ti sta curando”.

IL CALCIO DI ALLORA - “Si andava veloci. C’era meno preparazione fisica, ma si era molto più diretti. Adesso è un gioco molto più di possesso palla, molto meno impegnativo fisicamente. Dal punto di vista fisico, ho giocato negli anni ’80 con dei giocatori che adesso sarebbero top mondiali al 100%: i tre olandesi, Baresi, tanti che hanno giocato con me. I ritmi di oggi diversi rispetto a prima? C’era un gioco più diretto, più difficile, con distanze molto più lunghe, molto dispendioso. Dal punto di vista fisico, gli atleti di quegli anni lì oggi farebbero la differenza. Oggi c’è sicuramente molta meno tecnica, quello sì. Una volta per arrivare a un certo livello dovevi avere tanta tecnica, adesso basta essere un atleta di alto livello, soprattutto se giochi sulle fasce e soprattutto nelle squadre che giocano con 5 difensori, quindi con gli esterni che devono correre. Solitamente hanno una tecnica di base normale, ma corrono e fanno la differenza".

LA STILETTATA ALLE PROPRIETA' STRANIERE - “Quei momenti li ho dovuti gestire da solo, se non con l’aiuto della mia famiglia. Quando ho fatto il dirigente, avendo avuto 25 anni di esperienza e ricordando molto bene quello che ho provato nei momenti difficili che sono stati tanti, ho cercato di mettere a frutto questa esperienza e cercare di supportare quelli che sono ragazzi molto giovani di 19, 20, 21, 22, 23, 24 anni, senza ancora una struttura vera e propria per affrontare determinati pesi che ti porti dietro facendo questa professione. Si vede sempre la cosa bella, ma non si vede il punto di vista della pressione. Secondo me c’è ancora molto da lavorare lì ed è ancora un terreno inespresso, perché le tante proprietà straniere che arrivano non conoscono bene l’argomento e non vogliono neanche affrontare quel tipo di problema perché non hanno neanche gli strumenti per poterlo affrontare. Sappiamo benissimo qual è l’importanza di un supporto, anche a livello morale ai giocatori, sia prima che dopo le partite che durante gli allenamenti, è anche importante vedere come si allenano per riuscire a capire con hi stiamo parlando. Dico sempre che sono cose non tangibili, ma che fanno le fortune dei club. E le cose non tangibili, difficilmente si possono spiegare in un foglio Excel al proprietario, sono fuori dalla portata o dalla possibilità di controllo di un proprietario. Sembra che tu abbia una formula magica, ma non lo è, è qualcosa che ti ha portato ad avere successo se lo hai avuto. Successo non vuol dire solamente vincere, vuol dire anche cercare di fare il massimo delle tue possibilità”.

NOTORIETA' - “Io di mio sono comunque riservato, la notorietà va accettata ma la vedo quasi come una un effetto collaterale della mia carriera. Dopo il mondiale ’90 che il mondiale è veramente il punto massimo visto che è stato giocato in Italia, ho deciso di andare in vacanza negli Stati Uniti e dal 1990 faccio le vacanze negli Stati Uniti. Era diventato veramente difficile per me godermi quei 15 giorni di tranquillità senza parlare di calcio. Il calcio è però quello mi ha permesso di girare mondo, di imparare l’inglese, di vedere cose nuove e di conoscere persone nuove ed è stata comunque un’opportunità quindi. Le cose non succedono perché uno ha comunque l’idea di provare cose nuove. La notorietà ha un prezzo, soprattutto a quel livello lì”.

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