"Sì all'integrità di Kiev". Ma in 12 stanno con Mosca

Rispetto dell'integrità territoriale di tutti i Paesi, quindi anche dell'Ucraina, come base di un futuro negoziato. E quindi ritiro delle truppe russe dai territori che hanno occupato. È questo il principio fondamentale del comunicato finale del vertice sulla pace in Ucraina conclusosi ieri a Burgenstock, in Svizzera.

Vertice intitolato ufficialmente «sulla pace» e non «per la pace», e non a caso. Nessuno pensava che questo summit internazionale, al quale hanno partecipato una novantina di Paesi, avrebbe partorito un accordo per fermare la guerra in Ucraina. Lo scopo era un altro, e per questo la Russia (che comunque aveva messo in chiaro che non avrebbe accolto l'invito) non era stata invitata: definire con chiarezza i paletti intorno a cui lavorare per un successivo auspicato negoziato vero con la Russia che ha invaso un Paese libero e indipendente, al quale oltretutto aveva garantito con dei trattati (finiti di fatto stracciati) rispetto delle frontiere e sicurezza.

Il principale paletto sottoscritto in Svizzera è dunque quello del rispetto del diritto internazionale, in mancanza del quale vige la legge della giungla. Diritto che prevede, tra le altre cose, quel divieto di sequestrare cittadini stranieri e deportarli nel Paese invasore. Questo vale a maggior ragione per i minori, e Kiev ha ricordato la sua denuncia sul rapimento da parte russa di 20mila ragazzi e adolescenti ucraini, un crimine di guerra per cui Putin è oggi ufficialmente un ricercato internazionale: anche di questo si è discusso a Burgenstock. Con un'apertura importante da parte svizzera: «Putin potrebbe recarsi in Svizzera per partecipare a ipotetici negoziati senza essere arrestato, nonostante il mandato emesso nei suoi confronti dalla Corte penale internazionale - dice la presidente della Federazione Viola Amherd - L'ordine d'arresto prevede eccezioni in caso di negoziazione».

Vladimir Putin si situa però per sua scelta agli antipodi rispetto al principio del rispetto del diritto internazionale e lo ha fatto dire chiaramente al suo portavoce: «Zelensky dovrebbe riflettere sulla nostra proposta - ha detto Dmitry Peshkov - perché la situazione militare sul campo per l'Ucraina sta peggiorando». La legge del (presunto) più forte, appunto, contrapposta a quelle che valgono per tutti e il cui rispetto è in verità il solo fondamento di una pace vera, prima ancora che giusta.

Nel suo intervento, il presidente ucraino ha detto una verità evidente: facendo alla vigilia del vertice svizzero proposte irricevibili e provocatorie che equivarrebbero alla resa di Kiev, la Russia ha commesso un grave errore, dimostrando coi fatti di non essere pronta per una pace giusta. Poi ha messo il dito su un'altra piaga aperta: quella cinese. Pechino, che ha sempre insistito a parole e pro domo sua (per via della questione di Taiwan che considera parte del suo territorio) sul principio del rispetto dei confini di ogni Paese, si è però ben guardata dall'accettare l'invito a Burgenstock. Ha preferito mantenere una posizione fintamente equidistante, invitando genericamente Mosca e Kiev a trovare un compromesso. È però ben noto che Xi Jinping e Putin sono alleati di ferro, e quindi questa esortazione dovrebbe essere letta come un assist cinese per il Cremlino, magari supponendo che Putin abbia provato a esagerare con le pretese per poi fingere di accontentarsi di un poco che sarebbe in realtà moltissimo. Zelensky ieri ha insistito con la Cina affinché si assuma le sue responsabilità per la pace facendo pressioni su Mosca. Ma è chiaramente un gioco delle parti: a Kiev sanno benissimo che questo non accadrà mai e che l'Ucraina può solo mettere in evidenza le contraddizioni di Xi.

In realtà non è solo la Cina ad amareggiare Zelensky. Una dozzina di Paesi anche molto importanti si sono ieri rifiutati di firmare il comunicato finale di Burgenstock: tra loro spiccano India, Arabia Saudita, Sudafrica e Brasile, e questi sono altrettanti punti a favore di Putin. Ma dall'altra parte, oltre a tutti i Paesi del campo occidentale e a molti del «Sud del mondo» su cui l'asse Russia-Cina-Iran punta per sovvertire l'attuale ordine mondiale a guida americana, si conta la Turchia di quell'Erdogan che molto si è speso per un negoziato russo-ucraino. E che segnala così di volerlo fare su basi ben chiare.

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