Harvey Keitel: "Leggere la sceneggiatura di Pulp Fiction è stato come guardare un bellissimo cielo"
Harvey Keitel: "Leggere la sceneggiatura di Pulp Fiction è stato come guardare un bellissimo cielo"
Al Forte Village è arrivato, in qualità di superospite del Filming Italy Sardegna Festival, uno dei più celebri e talentuosi attori americani, che infatti ha recitato in più di 120 film e, dal giorno in cui Quentin Tarantino lo ha voluto in Pulp Fiction, viene identificato con "il Signor Wolf che risolve problemi". Parliamo naturalmente dell'immenso Harvey Keitel, che ha attraversato mezzo secolo di cinema. Quando lo incontriamo, notiamo con piacere che indossa i suoi proverbiali Ray Ban Wayfarer neri. I capelli sono bianchi ma il viso è come lo abbiamo visto in tanti film. Forse ha qualche riga in più, ma l'ispettore Slocumb di Thelma & Louise ha da poco compiuto 85 anni, e comunque, da quando è qui, non si perde una serata al Tiki Beach, piccolo locale sul mare dove si balla fino a tarda notte e i cocktail sono favolosi.
Durante l'incontro con i giornalisti, Harvey Keitel non si toglie mai gli occhiali da sole se non per asciugare le lacrime dopo che qualcuno gli ha chiesto un ricordo del caro amico Paul Auster, scomparso a fine aprile e suo regista in Smoke e Lulu on the Bridge. Dello scrittore Harvey dice soltanto che era un uomo speciale. Un attimo di imbarazzo e si prosegue, e siccome quest'anno ricorre il trentennale di Pulp Fiction, la domanda sul secondo film di Quentin Tarantino è d’obbligo. Keitel spiega innanzitutto di non essere fattivo e organizzato come il Signor Wolf e poi racconta: "Conoscere Quentin Tarantino è stato certamente un momento fondamentale della mia vita. Fu un'amica comune, e cioè una collega dell’Actors Studio, a farci conoscere. L'unica cosa che posso dirvi è che, quando ho letto la sceneggiatura di Pulp Fiction, mi sono ricordato dell'impatto che aveva avuto su di me il copione di Lezioni di piano di Jane Campion. Sono rimasto folgorato, come quando ti capita di incontrare una persona straordinaria o di guardare un bellissimo cielo. Pulp Fiction ha avuto questo effetto su di me. Forse non riesco a descrivere fino in fondo la sensazione che ho provato, ma basta vedere il film per rendersi conto che ha qualcosa di molto speciale".
Pulp Fiction è il secondo film di Tarantino nel quale ha recitato Harvey Keitel, che nel 1992 aveva interpretato Mr. White ne Le Iene: "Ricorderò per sempre la prima volta che l'ho incontrato" - continua l'attore - "perché venne a bussare alla mia porta, io aprii e mi trovai di fronte un giovane uomo alto e molto goffo. Si presentò e pronunciò male il mio nome. Io sorrisi e gli dissi: 'Vieni, entra'. Poco tempo dopo vennero da me e mi dissero: 'Harvey, come fai a sapere che è davvero in grado di fare questo film? Non ne ha mai diretto uno'. Risposi: 'Invece sì'. E loro: 'Ma cosa ha diretto?'. Avevo in mano la sceneggiatura e ho risposto: 'Questo film'. Farei di tutto per Quentin Tarantino, è il mio ragazzo".
Nonostante l'affetto e l'ammirazione per Tarantino, il personaggio che Keitel ha amato di più interpretare è il tenente di Il cattivo tenente, diretto da Abel Ferrara nel 1992. La ragione ha a che vedere con la vita privata dell'attore: "Sono stato fortunato a lavorare con molti grandi registi, e voi li conoscete tutti. Il film di Abel Ferrara è arrivato in un momento molto difficile per me, che riguardava il mio privato, e anche Abel stava attraversando un periodo complicato, e quindi la nostra vita interiore era molto simile, e io avevo bisogno di lui e lui aveva bisogno di me. Abbiamo cominciato a lavorare insieme alla sceneggiatura con grande passione. A scrivere il soggetto era stata una bellissima donna, Zoë Lund, e che se n'è andata troppo presto. È morta per un'overdose di eroina e Abel ed io abbiamo dovuto sviluppare il copione senza di lei. È stato molto triste".
Harvey Keitel non sa se nel corso della sua lunga carriera abbia avuto più intuito o più fortuna, ma ha voluto fare della recitazione la sua vita per un motivo ben preciso: "Sono diventato attore perché desideravo fortemente conoscere me stesso, e non solo me stesso ma tutte le altre persone, e anche se non credete che io vi possa già conoscere, in realtà ho capito qualcosa di ognuno di voi proprio perché conosco me stesso, ma ho ancora tanto da imparare. Una delle cose più belle dell'avere a che fare con l'arte è che impari tante cose. L'arte forma le nostre vite, e per questo ha un grandissimo potere".
Ricordiamo all'attore qualche autore italiano con cui ha lavorato, e lui ci rivela di aver apprezzato particolarmente la collaborazione con Lina Wertmüller per Un complicato intrigo di donne vicoli e delitti e quella con Ettore Scola per Il mondo nuovo. Dopodiché ci confessa che i registi italiani sono più severi ed esigenti dei colleghi americani: "Gli italiani amano darti più indicazioni rispetto ai registi americani e dirti quello che devi fare. Per me è più facile sfuggire ai registi americani che non a quelli italiani, ma sono cresciuto a Brooklyn, per cui ho una certa familiarità con gli italiani".
A proposito di registi italiani, Harvey ci parla di un film nel quale ha recitato e che non è ancora uscito che porta la firma di Louis Nero. Si intitola Milarepa ed è in postproduzione: "Il film ha una bellissima sceneggiatura, che mi è piaciuta perché solleva interrogativi esistenziali con cui i grandi Buddha tibetani dell'undicesimo secolo erano alle prese. Mi sono reso conto che quegli interrogativi erano e sono molto importanti per me e con Louis abbiamo parlato molto di queste domande che tutti ci facciamo e nelle quali sono certo che vi riconoscerete quando vedrete il film. Ho imparato molte cose dal copione. Nella prima scena in cui appaio, sono seduto a un tavolo insieme a una bambina. Sono a casa sua e ci sono anche i suoi genitori, e la bambina ci rivolge delle domande sulla vita, sapendo benissimo che io sono un Buddha, e cioè Milarepa, e proprio in quella sequenza lei e Louis Nero affrontano una questione esistenziale per me sempre fondamentale. La bambina sa che Milarepa è un Buddha e che è magico, e mi dice: 'I tuoi nemici devono avere molta paura di te', allora io le rispondo: 'I tuoi nemici sono nella tua mente e sono piccole creature suggestionabili. Per controllarle devi imparare a controllare la tua vita'. Si parla insomma di demoni interiori, e chi non ha dei demoni interiori?".
Alla fine dell'incontro, Harvey Keitel ci narra un gustoso aneddoto che riguarda Martin Scorsese, amico e regista dal quale è stato diretto in Chi sta bussando alla mia porta?, Mean Streets, Alice non abita più qui, Taxi Driver, L'ultima tentazione di Cristo e The Irishman: "La prima volta che ho incontrato Marty, lui era uno studente di college mentre io vendevo scarpe. Abbiamo fatto amicizia immediatamente. Lui stava lavorando a un progetto che è stato uno dei primi film in 35mm girati da uno studente, Ricordo che stava facendo i provini per gli attori. Io vidi l'annuncio, andai alla New York University e mi resi conto che eravamo in cinquanta e tutti disoccupati. Per l'ultimo provino eravamo rimasti in tre, e quando mi sono presentato all'NYU, era sera inoltrata e la scuola era chiusa. Sono arrivato e nei corridoi c'era giusto qualche luce accesa. Marty mi ha subito detto: 'La vedi quella porta in fondo al corridoio? Vai in quella camera'. Ho obbedito e mi sono incamminato per il corridoio per poi entrare nella stanza. Si trattava di una classe e non c'era nessuno tranne un tipo seduto su una sedia di fronte a un banco. Sul banco c'era una luce, un po’ come nelle stazioni di polizia, e quando il tipo mi ha visto, mi ha detto con tono imperioso: 'Siediti!'. L’ho guardato e gli ho detto: 'Chi sei?', e lui: 'Ti ho detto di metterti seduto', allora gli ho risposto: 'Scusa, con chi stai parlando?', e lui di nuovo mi ha ordinato: 'Siediti!', al che io mi sono arrabbiato e ho ringhiato: 'Ma tu chi cazzo sei?', mi sono avvicinato e lui si è alzato, ma a quel punto una voce da in fondo alla stanza ha gridato: 'No, Harvey, no! È un’improvvisazione'. Era Marty, a cui ho subito detto: 'Marty, vieni qua, nessuno ti ha detto che quando si fa un'improvvisazione bisogna avvertire gli attori?' Subito dopo ho ottenuto il ruolo".