Stiamo davvero dando la colpa al Lecce di Corvino?

Se è vero, com'è vero, che in Italia risiedono 60 milioni di allenatori - pronti a dare indicazioni e suggerimenti al CT di turno in occasione delle sfide della Nazionale - è altrettanto chiaro che, dopo un fallimento azzurro, tutti si tramutino automaticamente in giudici ed esecutori. Da un lato si tirano fuori i colpevoli, le teste da far saltare, d'altro canto si propongono ricette a buon mercato per superare "la crisi di sistema" o per riportare il calcio italiano "agli antichi fasti" (dove le virgolette stanno a indicare il ricorso nauseante ai luoghi comuni, tanto cari nelle stagioni meno felici). Ecco che, così, si scopre addirittura che più del CT Spalletti e del gruppo portato in Germania le responsabilità siano da ascrivere nientepopodimeno che a Pantaleo Corvino, responsabile dell'area tecnica del Lecce e protagonista di pagine di calcio importanti anche al di là del suo Salento.

Lo Scudetto della discordia

Il pomo della discordia risiede tutto nello Scudetto Primavera vinto dal Lecce nel 2022/23, un titolo (uno dei tanti conquistati da Corvino a livello giovanile) salito alla ribalta anche per un undici composto da tutti elementi stranieri, così come quelli subentrati a partita in corso nella finale contro la Fiorentina, poco più di un anno fa. Ecco dunque che, prendendo quell'esempio mediaticamente così forte e puntando il dito, Corvino veste i panni del capro espiatorio, dell'esterofilo incurabile che non si preoccupa di esaltare i prodotti italiani del vivaio e che si proietta solo sul risultato a breve termine. Corvino ha sempre ribadito, anche nel corso dell'importante esperienza come DS della Fiorentina dei Della Valle, quanto il talento non debba essere letto per nazionalità, secondo la logica delle bandiere: il dirigente lo ha saputo dimostrare in modo concreto e lampante, scoprendo o valorizzando talenti del calibro di Vucinic, Chevanton, Bojinov, Jovetic o Vlahovic.

stiamo davvero dando la colpa al lecce di corvino?

Dorgu | Donato Fasano/GettyImages

La nota e antica predilezione di Corvino per contesti calcistici alternativi a quello italiano si lega in parte a un discorso di principio ma, ancor di più e pragmaticamente, alla necessità di fare di necessità virtù e di scoprire talento fuori dai circuiti soliti, riuscendo così a sposare una logica vitale di sostenibilità: una dinamica virtuosa, dunque, che trova nell'assenza di italianità un cruccio definito fatale per "il bene del nostro calcio". Lo stesso dirigente salentino però, nell'intervista odierna al Corriere dello Sport, ha ricordato come l'Italia abbia raggiunto titoli (un Mondiale e un Europeo) con regolamenti affini a quello attuale: di fatto Corvino indica, giustamente, come fare del "modello Lecce" una deriva negativa sia pretestuoso e fin troppo superficiale. Anche perché, spingendoci oltre, possiamo comunque sottolineare che - a livello di prima squadra - i giallorossi non si distacchino dagli altri club per il rapporto tra stranieri e italiani, distinguendosi comunque per punti fermi come Falcone, Baschirotto e Gallo (oltre che per un'età media ridotta).

Esterofilia? In buona compagnia

In Serie A sono un antico ricordo i club con una base esclusivamente o prevalentemente italiana, il discorso non tocca solo il Lecce: Udinese e Bologna hanno vissuto giornate di Serie A con un undici totalmente straniero, Salernitana, Genoa, Milan, Torino e Atalanta sono arrivati a 10 stranieri su 11 calciatori in campo (sempre nell'ultima stagione). Al contempo occorre sottolineare la vera "anomalia" o, comunque, il vero nodo da risolvere: l'abisso che separa il calcio giovanile da quello professionistico (soprattutto di alto livello), il fatto che tanti ragazzi italiani vivano in una sorta di limbo dai 18 ai 21-22 anni, passando dallo status di giovane gioiello a quello di "promessa non mantenuta" e perdendosi nei meandri di prestiti più o meno fortunati nelle serie inferiori. Niente, insomma, su cui Corvino o il Lecce abbiano una colpa specifica o un particolare dominio (soprattutto considerando i limiti finanziari rispetto a realtà che avrebbero più libertà di movimento e di spesa).

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