La via indicata dalle sindache: gentilezza, non muscoli

la via indicata dalle sindache: gentilezza, non muscoli

La via indicata dalle sindache: gentilezza, non muscoli

La sorpresa sarebbe stata che le donne sindaco, elette nell’ultima tornata, non fossero solo l’11% rispetto agli oltre 10.000 sindaci uomini. Le statistiche sulle fasce d’età e sul genere degli elettori non danno molta soddisfazione, perché sono anche difficili da comparare. Tuttavia, la popolazione femminile, nonostante sia maggioritaria, ha dato il maggior tributo all’astensionismo. Grande consolazione, certamente, vedere le elette nelle città capoluogo o nei comuni con sistema proporzionale: Vittoria Ferdinandi a Perugia, Marialuisa Forte a Campobasso, Valeria Cittadin a Rovigo, Letizia Budri a Mirandola, Lydia Colangelo a San Severo...

La sindaca di Firenze ci aiuta in alcune riflessioni. È la nipote di un grande sindaco fiorentino, cattolico, Piero Bargellini. Anche se ero piccola ascoltavo la mattina, con mia mamma, alla radio, una sua trasmissione di attualità e spiritualità. La mamma di Sara Funari, figlia di Piero Bargellini, si è trovata nella particolarissima situazione di essere figlia e madre di sindaci. La prima donna a Palazzo Vecchio ha vissuto una atmosfera di impegno politico unito alla testimonianza, anzi come testimonianza, già in famiglia.

Un’avventura così speciale non è capitata alle altre prime cittadine cui Avvenire ha dedicato una bella pagina domenica. Una pagina doverosa. Sì, perché se in un tempo di così evidente disinteresse – quando non anche di disprezzo verso l’impegno politico – molte donne (mai abbastanza) hanno accettato di mettersi alla prova con coraggio, determinazione e sicurezza della propria capacità di lavoro per il bene comune, allora la possibilità di farcela risulta quasi auto-evidente, e annulla pure l’alibi secondo cui “tanto è inutile”, le donne “non hanno tempo”, le donne “non votano donna” e via dicendo.

In un certo senso, queste parziali giustificazioni richiamano un argomento su cui torniamo spesso: quello del lavoro femminile e della difficoltà per le donne di rendere compatibili diverse funzioni che, nonostante tutte le proposte di parità, continuano a rendere difficile la conciliazione fra famiglia, lavoro e impegno nella società civile. Perciò i partiti dovranno mettere mano sul serio a realizzare una vera parità che, ricordiamo, dovrebbe valorizzare anche la maternità e la natalità.

Le forze politiche si saranno accorte che le donne in lista attraggono interesse e riescono a costruire consenso e alleanze? Qui si colloca un altro nodo che i partiti devono sciogliere, se vogliono davvero riprendersi l’elettorato, approvando finalmente una legge elettorale che consenta di scegliere i rappresentanti. I voti raccolti dalle sindache indicano questa strada: senza le preferenze, difficilmente sarebbero state elette. Le donne che vengono messe in lista sono scelte perché si riconoscono in loro le qualità quotidiane di attenzione ai problemi, ascolto e concretezza nelle risposte.

Le donne esercitano un particolare “maternage”? Può darsi, ma sapranno interpretare tutti i problemi della comunità e non solo quelli sociali, perché amministrare una città significa servire tutti i cittadini. Porteranno qualche connotato di femminilità, forse più sorriso, meno aggressività. Le città hanno un bisogno esistenziale di gentilezza e non di muscoli. Serve una riscossa come quella del giugno 1946, quando le donne votarono in massa, ed essendo la maggioranza dell’elettorato, fecero vincere la Repubblica democratica. Erano orgogliose per aver conquistato per la prima volta il diritto al voto: pienamente cittadine. È dunque nelle mani delle donne il cambiamento, sono loro la forza del cambiamento e se i partiti lo vogliono devono creare condizioni di pari agibilità: non privilegi ma parità.

Nel 1979, durante la mia prima campagna elettorale per il Parlamento, quando chiesi a una donna se mi avrebbe onorata col suo voto, mi rispose: “Devo chiederlo a mio marito”. Erano 45 anni fa, perciò mi hanno molto commosso le ultime immagini del film di Paola Cortellesi C’è ancora domani: le schede che arrivano a casa ci invitano a compiere il nostro dovere, «stringiamo le schede come biglietti d’amore».

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