Se il risparmio degli italiani serve allo Stato

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Se il risparmio degli italiani serve allo Stato

Nemmeno il tempo di riprendersi dal collocamento dell’ultimo Btp Valore, chiuso il primo marzo con un incasso di 18 miliardi di euro, che già ne arriva un altro. Una «emissione speciale», l’ha definita il ministero dell’Economia annunciando la novità: dal 6 al 10 maggio i cittadini potranno tornare a prestare denaro allo Stato e contribuire direttamente, senza intermediari né commissioni da pagare alla banche, ad accompagnare il debito pubblico verso i 3mila miliardi di euro, nuova tappa miliare dell’indebitamento della Repubblica italiana che sorpasseremo (secondo quanto si può capire dal Def appena approvato dal governo) prima della prossima primavera.

C’è qualcosa di curioso nel rapporto tra noi italiani e il nostro debito pubblico, che è enorme ma purtroppo non «abbastanza grande da badare a sé stesso» (secondo la fulminante battuta sul deficit americano che Ronald Reagan regalò ai giornalisti qualche decennio fa). La corsa ininterrotta del debito, aumentato di oltre 100 miliardi di euro lo scorso anno, è guardata con crescente preoccupazione da almeno trent’anni. I cittadini si indignano, quando sentono i calcoli di chi ricorda che siamo ormai a quasi 50mila euro di debito pubblico a testa.

Tutti concordano sul fatto che pagare 78,6 miliardi di euro in interessi ai creditori, come abbiamo fatto nel 2023, non sia il modo migliore di usare i soldi dei contribuenti. Forse la maggioranza degli italiani sarebbe addirittura disposta ad ammettere, con il senno di poi, che caricare sui conti pubblici quasi 160,3 miliardi di euro di spese private per rifare facciate, sostituire infissi e mettere cappotti termici ai palazzi con il Superbonus non è stata una soluzione geniale. Il debito pubblico non ci piace, quando lo guardiamo con lo sguardo dei debitori.

Visto con l’occhio dei creditori ha però tutto un altro aspetto. Da quando i governi hanno iniziato a sperimentare i titoli di Stato dedicati ai risparmiatori – prima con i Btp Italia, ormai 12 anni fa, poi con i Btp Futura, ultimamente con i Btp Valore – hanno sempre trovato italiani pronti a versare denaro nelle casse pubbliche in cambio di un adeguato tasso di interesse. Sono cittadini abbastanza “ricchi” o “benestanti” da potere investire più o meno 30mila euro alla volta su obbligazioni con scadenze medio-lunghe, che presuppongono di lasciare i loro risparmi fermi almeno cinque o sei anni. I Btp piacciono anche perché hanno un paio di “aiutini” fiscali che danno loro un bel vantaggio rispetto a investimenti alternativi. È lo stesso ministero a ricordarlo nella nota per questa “emissione speciale”: i Btp Valore offrono «la consueta tassazione agevolata per tutti i titoli di Stato al 12,5% su cedole e premio fedeltà, l’esenzione dalle imposte di successione, oltre che – come previsto dalla legge di bilancio per il 2024 – l’esclusione dal calcolo Isee fino a 50.000 euro».

Mica male. Perché lasciare ancora i soldi “in eccesso” sui conti correnti (a febbraio c’erano circa 1.128 miliardi lasciati a riposo con rendimenti irrisori) o andare a investire su obbligazioni private tassate di più (aliquota sui profitti al 26% contro il 12,5% dei Btp, senza contare effetti su Isee e successioni) se non in fondi o in Borsa? Con una scelta di tempi casuale ma infelice, il governo ha annunciato il nuovo Btp Valore proprio nel giorno di chiusura del Salone del Risparmio. A Milano le aziende del settore si confrontavano su come avvicinare gli italiani al risparmio anche per fare in modo che la ricchezza nazionale possa dare allo stesso tempo un ritorno al risparmiatore e una spinta alla crescita economica del Paese. A Roma negli uffici del ministero predisponevano intanto l’ennesimo titolo di Stato utile a incanalare i risparmi delle famiglie verso le casse pubbliche, non certo famose per l’effetto moltiplicatore dei loro investimenti.

Negli ultimi due anni la quantità di debito pubblico italiano detenuta dalle famiglie è salita da 142 a 325 miliardi di euro, un aumento del 128%. Visto che i risparmi degli italiani “quelli sono”, e non possono essere utilizzati allo stesso tempo per scopi diversi, basta dirlo con chiarezza: quei soldi servono soprattutto a questo già indebitatissimo Stato. Le banche e le imprese si accontentino di quello che avanza oppure cerchino altrove le risorse di cui hanno bisogno. Le priorità, evidentemente, sono altre.

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