Tumore della vescica in crescita (ma sottovalutato): cosa c’è da sapere

tumore della vescica in crescita (ma sottovalutato): cosa c’è da sapere

Tumore della vescica in crescita (ma sottovalutato): cosa c’è da sapere

I numeri: un tumore che colpisce gli uomini

La vescica è l’organo che ha il compito di raccogliere l’urina che viene filtrata dai reni, prima di essere eliminata dal corpo. Il tumore consiste nella trasformazione in senso maligno delle cellule che ne rivestono la superficie interna. «Nel 2023 sono stati circa 29.200 i nuovi casi di tumore della vescica diagnosticati in Italia — dice Sergio Bracarda, presidente della Società Italiana di Uro-Oncologia (SIUrO) —: 23.300 tra gli uomini e 5.900 tra le donne. Il rischio di sviluppare la malattia è molto più alto negli uomini, mentre però il numero di nuovi casi maschili è in minima riduzione, nelle donne si riscontra un lieve ma progressivo aumento. Un aumento che, come accade nel cancro ai polmoni, è in gran parte spiegabile con il numero crescente di fumatrici: il tabacco è infatti correlabile con almeno la metà di tutti i tumori al tratto urinario». A cinque anni dalla diagnosi nel nostro Paese è vivo l’80% dei pazienti (la media europea è 68,6%, quella del Nord Europa 73%).

Chi rischia di più?

Il tumore della vescica insorge più frequentemente in persone di età compresa tra i 55 e i 70 anni e l’incidenza tende a crescere con l’età. I principali fattori di rischio noti per il tumore della vescica sono il fumo di sigaretta e l’esposizione prolungata a particolari composti chimici: coloranti derivati dall’anilina, amine aromatiche e composti arsenicali (inquinanti dell’acqua potabile), classificati nel 2004 tra i cancerogeni di gruppo uno dallo IARC, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro. « I tabagisti hanno una probabilità da 4 a 5 volte maggiore di ammalarsi rispetto ai non fumatori — ricorda Renzo Colombo, consulente specialista presso l’Area Uro-Oncologica del Dipartimento di Urologia dell’Ospedale San Raffele IRCCS di Milano —. Ancora oggi, circa il 25% dei casi di cancro vescicale è correlabile all’esposizione ad alcune sostanze chimiche (impiegate soprattutto nell’industria tessile, dei coloranti, della gomma e del cuoio e dell’agricoltura intensiva) nei posti di lavoro».

Quali sono i campanelli d’allarme?

Il principale, e spesso unico, segnale del tumore è la presenza di sangue nelle urine, sia visibile a occhio nudo sia solo al microscopio (microematuria), in assenza di dolore o di disturbi urinari. Altri segni iniziali, per quanto meno frequenti, possono essere la necessità di urinare più frequentemente, l’urgenza e il bruciore minzionale. «Si tratta purtroppo, di segni e sintomi comuni ad altre malattie urinarie, anche non gravi e questo può ritardare la diagnosi — spiega Bracarda, direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni —. In ogni caso, questi sintomi devono essere riferiti al proprio medico, che provvederà a far eseguire gli accertamenti più opportuni. È fondamentale tuttavia ricordare che ogni episodio di sangue visibile nelle urine deve essere indagato adeguatamente ricorrendo anche all’aiuto di uno specialista urologo. Ciò è particolarmente vero per i cosiddetti pazienti a rischio (fumatori o esposti professionalmente) per i quali la presenza di sangue nelle urine deve essere considerato come un vero e proprio campanello di allarme».

Si può prevenire?

La prima forma di prevenzione del cancro della vescica è quella di evitare il tabacco. «I fumatori possono comunque ridurre il rischio smettendo il prima possibile — sottolinea Renzo Colombo —: dopo 15 anni di sospensione, infatti, il pericolo si avvicina a quello dei non tabagisti. Poi è consigliabile migliorare lo stile di vita: in particolare, seguire una dieta sana ed equilibrata (fritture e grassi consumati in grande quantità sono infatti associati a un aumentato rischio) e svolgere una regolare attività fisica. E’ inoltre importante in generale rispettare tutte le misure di sicurezza, prevenzione e controllo sul luogo di lavoro in accordo con le normative vigenti. Questo vale soprattutto per le professioni a rischio, considerando che il tumore della vescica si può sviluppare anche a distanza di 10-25 anni dall’esposizione all’agente cancerogeno».

Come si arriva alla diagnosi?

Per formulare la diagnosi di tumore della vescica sono necessari in prima istanza una accurata anamnesi (un’indagine sull’ambiente di lavoro e sulle abitudini del paziente), l’esame clinico, l’esame citologico (ricerca di cellule tumorali) nelle urine e un’ecografia dell’apparato urinario. Ulteriori esami di accertamento su consiglio dello specialista, sono rappresentati dalla cistoscopia (eseguita in anestesia locale, consiste nell’introduzione di uno strumento ottico per osservare la superficie interna della vescica ed eseguire biopsie) e la TAC o la risonanza magnetica dell’addome.

Quali sono le terapie?

«Le opzioni terapeutiche dipendono dallo stadio della malattia che si stabilisce con una resezione endoscopica transuretrale, detta anche TURB — spiega Sergio Bracarda —. La TURBT (sigla utilizzata per la rimozione chirurgica, o resezione, di tumori alla vescica) consente di asportare totalmente (quando possibile) o in parte il tumore. LРІР‚в„ўesame istologico sul tessuto prelevato consente di stabilire se il tumore non ha invaso la parete vescicale o se si ГЁ giГ  esteso in profonditГ . Se il tumore non ГЁ invasivo, il trattamento ГЁ rappresentato proprio dalla sua asportazione completa con la resezione endoscopica trans-uretrale. Questa consiste nellРІР‚в„ўintroduzione attraverso lРІР‚в„ўuretra di uno strumento particolare (resettore) dotato sia di sistema di illuminazione, che consente di visualizzare il tumore allРІР‚в„ўinterno della vescica, sia di un dispositivo operativo, che consente di rimuovere il tumore per consentirne un esame istologico. Nei casi di tumore invasivo il trattamento consueto ГЁ rappresentato dalla cistectomia radicale, ovvero la rimozione dellРІР‚в„ўintera vescica, dei tessuti e dei linfonodi adiacenti.

Che fare in caso di recidive o metastasi?

«Nei tumori non invasivi, le recidive dopo la TURBT sono molto frequenti — chiarisce Colombo —. Il rischio di queste recidive puГІ tuttavia essere significativamente ridotto mediante le instillazioni endovescicali di un farmaco chemioterapico o biologico (come il Bacillo Calmette-GuГ©rin o, in sigla, BCG): in pratica il farmaco scelto dallo specialista viene inserito direttamente in vescica tramite un sottile catetereР’В». I tumori che hanno invaso la parete vescicale in profonditГ  richiedono invece, salvo casi particolari, la cistectomia radicale: cioГЁ la rimozione di tutta la vescica. Р’В«La chemioterapia per via endovenosa e la radioterapia possono essere indicate come supporto alla cistectomia radicale, o in casi molto specifici, in combinazione come alternativa alla stessa cistectomia — precisa lРІР‚в„ўesperto —. Quando il tumore genera metastasi, ГЁ necessaria la chemioterapia, disponibile in combinazioni diverse di vari farmaciР’В».

Sono disponibili farmaci innovativi?

Da oltre tre decenni il carcinoma della vescica si cura più o meno allo stesso modo: intervento chirurgico se possibile, talvolta radioterapia e diversi tipi di chemioterapia in presenza di una neoplasia in fase avanzata. Negli ultimi anni, poi, sono arrivati nuovi medicinali immunoterapici e a bersaglio molecolare che puntano a fermare o ritardare l’evoluzione della neoplasia nei pazienti in stadio avanzato o metastatico. «Finora questa neoplasia in fase avanzata è stata principalmente trattata con la chemioterapia, ma non sempre in modo ottimale a causa della presenza di alcune limitazioni come l’insufficienza renale o cardiovascolare» dice Colombo. Anche l’età avanzata e le presenza di altre patologie rappresentano significative limitazioni all’uso della chemioterapia. «Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato che anche per il tumore invasivo della vescica, è possibile ottenere importanti risultati ricorrendo a nuovi farmaci immunoterapici, quali i farmaci inibitori di PD-1, PDL-1, che hanno il vantaggio di poter essere somministrati anche in pazienti che non possono fare la consueta chemio — conclude Bracarda —. Ulteriori risultati sono attesi dagli studi attualmente in corso basati sulla associazione di farmaci immuno e chemioterapici. Lo scopo è non solo quello di allungare la sopravvivenza, ma anche di migliore la qualità di vita dei pazienti e di dare una opportunità di trattamento anche ai cosiddetti soggetti “fragili”».

Perché è una malattia poco conosciuta?

Da un sondaggio, voluto dell’associazione PaLiNUro (Pazienti liberi dalle neoplasie uroteliali), emerge che il tumore della vescica è poco noto e molto sottostimato dagli italiani: il 61% degli interpellati non è mai andato dal proprio medico per segnalare segni o sintomi come sangue nelle urine o bruciore durante la minzione; il 34% dei connazionali non sa quale sia lo specialista (l’urologo) che si occupa di questa patologia; soltanto il 52% riconosce come causa principale il tabacco, mentre quasi il 50% è convinto (sbagliando) che il principale fattore di rischio sia la predisposizione genetica.

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