Il piano di Gallant per gli aiuti a Gaza: i clan palestinesi armati dagli 007 israeliani
Gerusalemme I ministri scendono a sud tutti insieme, verso il mare e il frastuono della guerra che arriva dall’altra parte. Yoav Gallant vuole mostrare le apparecchiature e i documenti sequestrati nei cunicoli scavati da Hamas, l’attenzione di Itamar Ben Gvir resta su sé stesso, alza la voce per sentirsi meglio e se la prende con Herzi Halevi, il capo di Stato Maggiore, perché i soldati sono intervenuti assieme ai poliziotti a rimuovere i manifestanti piazzati davanti ai valichi: da settimane vogliono fermare gli aiuti destinati alla Striscia. Sono i suoi ragazzi e le sue ragazze, la kippah all’uncinetto come lui, presentati dalla propaganda dell’estrema destra come «famigliari degli ostaggi» in realtà per la maggior parte coloni contrari a qualunque intesa con Hamas.
Ancora una volta la parola aiuti viene sovrastata dalle intemperanze degli ultrà messianici. Perfino Yoav Gallant, che da ministro della Difesa non può essere considerato una colomba, tenta da mesi di presentare il suo piano per permettere il progressivo ritorno dei palestinesi nel nord di Gaza e gestire l’ingresso di cibo, medicinali, materiali per tirar su almeno delle tende. Le case che hanno lasciato quattro mesi fa non ci sono più, è difficile perfino orientarsi quando i punti di riferimento sulla mappa della memoria sono macerie. Sono allo stremo, il 10 per cento dei bambini mostra segni di grave malnutrizione, avvertono le Nazioni Unite.
Non è il progetto per il «giorno dopo» la fine del conflitto, che il premier Benjamin Netanyahu continua a rinviare nonostante le pressioni degli americani e in parte del consiglio di guerra. È un primo passo, l’alba di quel giorno. Gli israeliani userebbero il valico di Erez a nord — assaltato il 7 ottobre dai terroristi fondamentalisti — e quello di Karni più giù lungo il confine.
Soprattutto — rivela il quotidiano Yedioth Ahronoth, il più venduto nel Paese — i servizi segreti interni, lo Shin Bet, avrebbero il compito di organizzare squadre di difesa locali per proteggere i commercianti palestinesi che recuperano i pacchi da distribuire. «Questi uomini verrebbero individuati tra i clan più potenti, non legati ad Hamas, anche tra gli ex militari dell’Autorità palestinese», scrive Nadav Eyal. «Lo Stato Maggiore non ha posto obiezioni all’ipotesi che possano ricevere armi per contrastare le milizie jihadiste ed evitare le razzie».
Gallant ha preparato il documento il 26 ottobre nell’imminenza dell’invasione via terra. L’ha ritirato fuori adesso per mostrarlo a Benny Gantz e Gadi Eisenkot, i due ex generali che hanno lasciato l’opposizione per partecipare al gabinetto ristretto. I fogli illustrano le fasi previste nelle operazioni: «In verde sono indicati gli obbiettivi raggiunti dalle truppe, in arancione quelli parziali, in rosso tutto quel che resta da fare».
Di fatto trovare una soluzione per la gestione di metà della Striscia, così da evitare che sia Hamas a ripresentarsi come la forza al potere anche sul piano civile. Lo Shin Bet vuole anche impedire che i materiali finiscano nelle mani dei fondamentalisti, «come sta succedendo adesso. Per questa ragione non verrebbe usato il valico di Rafah, dove la presenza dell’organizzazione è ancora forte». Il piano pilota partirebbe da Zeitoun, l’area che porta nel nome il simbolo palestinese delle olive, anche se gli alberi non ci sono più.
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