di Annamaria Corrado
RAVENNA
Se la frequentazione delle spiagge ravennati, e più in generale romagnole, risale ai primi decenni del Novecento, i capanni di legno sulla spiaggia sono di poco successivi. Una consuetudine che si diffuse velocemente e in maniera spontanea: questi casotti venivano utilizzati come cabine, erano un punto d’appoggio per le famiglie, per mangiare o per una pennichella nelle ore più calde. Ce n’erano un po’ ovunque, a ridosso della pineta e delle dune, vicino agli stabilimenti balneari che, all’inizio, erano davvero pochi. Ma oggi quella testimonianza del turismo balneare che fu rischia di essere spazzata: tra Comune e proprietari è in atto un braccio di ferro per salvare lo status quo. Negli anni Cinquanta e Sessanta, con il boom di queste piccole e caratteristiche costruzioni, i capanni venivano montati a inizio estate e smontati a settembre, prima di diventare una presenza fissa e familiare. Con l’avvento delle normative demaniali, i capanni sono stati oggetto di regolare concessione, col pagamento di un canone proporzionale alla superficie occupata, rimasta sempre molto modesta.
Sul litorale ravennate ne sono rimasti attivi 37 a Marina di Ravenna, 36 a Punta Marina Terme, 5 a Marina Romea e 3 a Porto Corsini, con l’aggiunta di 2 a Lido di Classe e 2 tra Marina di Ravenna e Punta Marina Terme, provvisoriamente smontati. I loro possessori fanno tutti parte dell’Associazione Capannisti Balneari. Una tradizione riconosciuta dunque e tipica di queste spiagge, al punto che a questi capanni il Comune si è ispirato, qualche anno fa, per realizzare le casette di legno azzurrine in piazza del Popolo durante il periodo natalizio. Eppure è di poche settimane fa l’ordinanza comunale che impone ai proprietari non in regola con le concessioni, di smontare i capanni e di liberare il terreno per il quale da decenni viene pagato il canone. Nonostante a settembre 2023 il consiglio comunale avesse deliberato all’unanimità il riconoscimento dei capannicome ‘realtà storica locale portatrice di un valore storico-testimoniale’.
Ai capannisti ovviamente l’obbligo di demolizione non è piaciuto, tanto da indurli a una manifestazione di protesta, sabato scorso in spiaggia. La comunicazione inviata all’Associazione Capannisti risale al 9 febbraio e chiede di consegnare i documenti relativi all’occupazione dell’area demaniale: chi non è in regola dovrà smontare tutto entro 90 giorni. Cioè tutti, perché dall’inizio degli anni 2000 la concessione non è mai stata rinnovata, anche se i capannisti hanno continuato a pagare il canone. A fronte delle mancate risposte dall’amministrazione comunale, l’associazione ha indetto un’assemblea che si tenuta l’altra sera, per spiegare ai soci, capitanati dal presidente Giorgio De Lorenzi, la situazione. L’ultima puntata risale a ieri, quando la Giunta ha approvato una delibera di indirizzo per individuare aree concessionabili, nel rispetto delle direttive comunitarie e delle norme del Parco del Delta del Po, dove delocalizzarli. Ma le ipotesi già circolate, in particolare quella di Casal Borsetti vicino ai parcheggi, non è ovviamente piaciuta. “Sarebbe come finire in un ghetto”, è la posizione dei capannisti.
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