Ora le Ong si lamentano dei porti assegnati: l'assurdo attacco all'Italia

ora le ong si lamentano dei porti assegnati: l'assurdo attacco all'italia

Ora le Ong si lamentano dei porti assegnati: l’assurdo attacco all’Italia

Non è passato troppo tempo da quando le Organizzazioni non governative che equipaggiano le navi per portare i migranti in Italia lamentavano “colpevoli ritardi” nell’assegnazione dei porti per lo sbarco. Fino all’autunno del 2022, prima dell’avvento del governo di Giorgia Meloni, la lamentela più frequente era proprio quella di dover restare troppo a lungo in mare in attesa di un porto. Ora, invece, di cosa si lamentano le Ong? Dei porti assegnati troppo presto. È evidente che esiste un problema di coerenza in queste organizzazioni, che desiderano semplicemente operare in forma anarchica, senza alcuna guida o controllo, per recuperare tutti i migranti che trovano in mare e portarli in Italia.

“Una volta completato un salvataggio, ci viene immediatamente assegnato un porto, il che rende quasi impossibile eseguire ulteriori salvataggi, a meno che le barche in difficoltà non siano sulla nostra rotta diretta verso il porto”, dice Emanuele Nannini, che dirige le missioni di soccorso di Emergency, dalle colonne del Guardian, quotidiano inglese. Tirando le somme di quelle che sono le pretese delle organizzazioni non governative, che si lamentano quando il porto viene assegnato in ritardo e quando viene assegnato immediatamente, la conclusione non può che essere una. Le navi delle Ong vogliono essere lasciate libere di muoversi in mare fin quando non raggiungono la piena capienza. A quel punto l’Italia, nelle loro intenzioni, dovrebbe mettersi sull’attenti e assegnare immediatamente il porto.

Ma non solo, perché tutti ormai conoscono le litanie, sempre uguali, degli equipaggi delle Ong per l’assegnazione dei porti. Infatti, non solo le Ong vogliono poter stabilire quando l’Italia deve aprire loro un porto ma anche dove lo deve aprire. Le organizzazioni hanno già perso diversi ricorsi al Tar per questo motivo, per contestazioni strumentali di decisioni che spettano solamente alle autorità italiane. Lo stesso Nannini, ala testata inglese, dice che i costi per le “deviazioni” sono “esorbitanti”. E la domanda che sorge spontanea è: deviazione da cosa? Le navi delle Ong non hanno rotte preimpostate, non hanno porti assegnati di default ai quali devono tornare. Il problema è che, dopo anni di governi di sinistra, considerano la Sicilia e Lampedusa come proprio hub di sbarco e ogni porto che non si trovi sull’isola madre e sulla piccola isola nell’agrigentino viene considerato una deviazione.

“Spesso dobbiamo pagare altri 50.000 euro per salvataggio solo in carburante”, dice ancora Nannini. Ma nessuno impone loro di sbarcare in Italia: prima di raggiungere il porto assegnato nel nostro Paese, sia sul Tirreno che sull’Adriatico, esistono diversi altri Paesi, considerati sicuri, in cui fare richiesta, riducendo notevolmente i tempi di navigazione. “L’Italia è ripetutamente l’unico Paese a rispondere”, dice ancora Nannini facendo riferimento ai centri di soccorso e coordinamento. Ma nel momento in cui il porto italiano che ha coordinato l’intervento assegna un porto non gradito, perché non si inoltrano le domande alla Grecia, all’Albania, alla Croazia o alla Francia? Sono tutti Paesi che spesso si incrociano prima del porto assegnato in Italia.

È evidente che esiste una precisa volontà, che nessuno ha mai spiegato, di portare i migranti esclusivamente nel nostro Paese. E il paragone che Sos Humanity fa nel suo rapporto annuale tra le navi della flotta civile e quelle della Guardia costiera italiana, ugualmente impegnata nei salvataggi in mare, non ha alcun senso. Le navi appartengono al Governo italiano, battono bandiera italiana e non hanno bisogno che vengano aperti i porti per lo sbarco.

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