L’ultima spiaggia del Capitano: Salvini isolato nella sua Lega, rischio Vannacci frontman anche dopo elezioni
salvini
Matteo Salvini guarda alle elezioni europee come all’ultima spiaggia per realizzare il progetto di Lega nazionale. «Ce la farò anche questa volta» dice guardando negli occhi i fedelissimi che da qualche settimana appaiono scettici di fronte alle mosse del «loro» Capitano.
Altrimenti, confida chi lo frequenta con una certa frequenza, «Matteo farà un suo partito e arrivederci e grazie». Prima se la vuole giocare fino in fondo, il segretario di via Bellerio. Andare sotto il 7% alle europee e farsi superare da Forza Italia sarebbe difficile da digerire. Non avrebbe più chances all’interno del partito. «È la prima volta che Matteo rischia davvero…» garantiscono a più livelli primissime file della Lega.
Lontanissimo il 26 maggio del 2019 quando Salvini sbancò alle europee ottenendo il 34% dei consensi. Una percentuale che è rimasta solo un ricordo. All’epoca tutti erano allineati con il grande Capo, nessuno si sarebbe permesso di confutare l’idea salviniana di partito.
E pensare che anche in quei giorni di «sovreccitazione» c’era chi come Giancarlo Giorgetti sussurrava all’orecchio del segretario: «Non dimenticare mai che noi siamo una forza nata al Nord e dobbiamo sempre tutelare gli interessi di quel territorio».
Quel Nord, appunto, è stato cancellato con un tratto di penna dal simbolo. L’idea di nazionalizzare via Bellerio ha funzionato fin quando il consenso era distribuito più o meno in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale.
Ora è l’alleata/rivale Giorgia Meloni ad aver trasformato Fratelli d’Italia in un partito del 30%. Di tutto questo ne soffre, Matteo. La sua voglia di rivalsa lo ha portato in queste settimane ad oscillare, a farsi concavo o convesso, a sposare posizioni di estrema destra per andare contro il suo governo, oppure a difendere Chiara Ferragni quando quest’ultima veniva attaccata dalle premier, e poi ancora a siglare un’alleanza con l’Udc di Lorenzo Cesa per mostrare una postura moderata.
Insomma, come si sarebbe detto una volta, la linea politica non c’è. O se c’è è difficile da decrittare. Chi sono, per dire, i suoi consiglieri? Tra Montecitorio e Palazzo Madama raccontano di un Salvini isolato, chiuso nella sua stanza, poco propenso ad ascoltare i suggerimenti di chi lo ha affiancato in questi anni.
Il rapporto con Giorgetti è fatto, ad esempio, di alti e bassi. «Ma sono i più bassi che gli alti, anche perché Giancarlo ha indossato la grisaglia di Daniele Franco». I due non litigheranno mai platealmente, perché andrebbe contro la grammatica del leghismo. Ma è evidente che abbiano un’idea di partito, di paese e di Europa differente.
Un discorso che si può estendere ai governatori del Nord – Luca Zaia, Attilio Fontana, Massimiliano Fedriga – che non hanno condiviso la scelta di candidare Roberto Vannacci, «perché il generale non è della Lega, perché da noi è stato sempre premiante valorizzare le risorse dei territori, e perché il Nord non ha quelle posizioni, il Nord vuole sedersi al tavolo delle decisioni».
Zaia ha esternato questo malessere in maniera plateale: «Mi sentirei come un peccatore a votare qualcuno che non sia del Veneto». Più o meno lo stesso ha manifestato Massimiliano Fedriga, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, che una volta era uno dei leghisti più ascoltati da Matteo. E adesso, va da sé, non lo è più.
Tutta colpa di Vannacci? In parte sì perché le idee del generale tracciano la nuova rotta del leghismo: più Italia e meno Europa, no Oms, no Mes, no Pnrr, “stra-no” all’esercito comune europeo, il ritorno di Trump alla Casa Bianca, più condoni e più flat tax. Tutto molto chiaro, no?
Bastava trovarsi l’altro pomeriggio al Tempio di Adriano per la presentazione dell’ultimo libro di Salvini, Controvento. Ospite d’onore: Vannacci. In prima fila: Claudio Durigon, Andrea Crippa, Claudio Borghi, Antonio Maria Rinaldi, Roberto Sasso.
Poi nient’altro. I capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo assenti, i governatori manco a dirlo. Al massimo qualche terza fila più che sconosciuta che si è presentata solo per curiosare: «Gli sono rimasti solo questi che vedete…».
Vannacci è il frontman di oggi e lo sarà anche del post voto di un partito che vuole stare alla destra di Giorgia Meloni, che sogna un governo europeo sovranista e che vorrebbe intercettare tutti i delusi di destra e a sinistra. E se dovesse andare male il voto del prossimo 8 e 9 giugno, «la coppia luceferina per la sinistra» (copyright Salvini) potrebbe riprovarci dopo le europee.
Con un contenitore nuovo. Non è un mistero che la discussione su un partito salvinian-vannacciano sia già a uno stadio avanzato. Resta da capire chi sarà il leader: il Generale o Matteo?